L’Ilva di Taranto rappresenta uno dei casi più complessi e controversi nella storia industriale e ambientale italiana. Questa vicenda intreccia temi di lavoro, salute pubblica, economia, politica, e giustizia, rendendo il caso dell’Ilva emblematico delle difficoltà nel bilanciare sviluppo economico e tutela dell’ambiente e della salute.

Anche dopo il sequestro del sito industriale nel 2012 l’inquinamento ambientale è continuato in un cortocircuito nella scelta tra la tutela del lavoro e dell’ambiente/salute.

In realtà più volte i giudici hanno sottolineato come l’azienda abbia portato avanti soltanto l’idea del profitto, nonostante da tempo conoscesse i pericoli legati alla produzione dell’acciaio con quel tipo di processo e di attrezzature.

L’ONA – Osservatorio Nazionale Amianto da anni porta avanti la battaglia al fianco dei lavoratori dell’ILVA di Taranto, delle loro famiglie e dei cittadini esposti. Ai procedimenti penali l’ONA e il suo Presidente, l’Avvocato Ezio Bonanni, associaconvegni e richieste al Governo per la tutela dei lavoratori.

La storia in breve dell’Ilva di Taranto

L’Ilva di Taranto è il più grande stabilimento siderurgico d’Europa. La sua costruzione è iniziata negli anni ’60 come parte di un progetto di industrializzazione del Sud Italia, volto a creare posti di lavoro e a promuovere lo sviluppo economico della regione. Lo stabilimento è stato gestito dall’azienda pubblica Italsider, che poi divenne Ilva negli anni ’80. Nel 1995, Ilva è stata privatizzata e acquisita dal gruppo Riva.

Sin dall’inizio delle operazioni, l’Ilva ha avuto un impatto significativo sull’ambiente circostante. Le emissioni di diossine, polveri sottili e altri inquinanti atmosferici, associate alle attività industriali, hanno contribuito a gravi problemi di inquinamento nell’area di Taranto. Diverse indagini epidemiologiche hanno evidenziato un’incidenza maggiore di malattie respiratorie e tumori, rispetto alla media nazionale.

Una delle inchieste più significative è stata avviata dalla Procura della Repubblica di Taranto nel 2010, denominata “Ambiente Svenduto”. L’inchiesta ha portato alla luce un sistema di presunte collusioni tra la gestione dell’Ilva e funzionari pubblici, finalizzato a nascondere l’impatto inquinante dello stabilimento e a evitare interventi che potessero limitare la produzione.

Nel 2012, l’inchiesta ha portato al sequestro degli impianti a caldo dell’Ilva e all’arresto di diversi dirigenti e proprietari dell’azienda, tra cui Emilio Riva, il principale azionista del gruppo. Le accuse includevano disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari, omicidio colposo e corruzione.

Gestione dell’ILVA e risanamento dell’azienda

Nel frattempo, lo stabilimento Ilva ha continuato ad affrontare difficoltà economiche e gestionali. Il governo italiano nel 2013 ha deciso di intervenire direttamente nella gestione dell’Ilva, ponendola sotto amministrazione straordinaria. Nel 2017, l’azienda è stata venduta al colosso siderurgico ArcelorMittal, che ha acquisito l’Ilva con l’impegno di risanare l’azienda sia dal punto di vista economico che ambientale.

ArcelorMittal ha annunciato piani di riduzione della forza lavoro, mentre i sindacati hanno espresso preoccupazioni per la perdita di posti di lavoro e per la mancata attuazione di misure ambientali sufficienti.

Nel 2019, ArcelorMittal ha minacciato di recedere dall’acquisizione, citando la revoca dello “scudo penale” da parte del governo italiano, che proteggeva la gestione aziendale dalle responsabilità penali legate al risanamento ambientale. Dopo intense trattative, l’azienda ha accettato di rimanere, ma ha ridotto ulteriormente il numero di lavoratori impiegati nello stabilimento.

Il Processo “Ambiente Svenduto”: le vicende giudiziarie dell’ILVA di Taranto

Furono due cittadini, un ex operaio dell’ILVA e un professore di lettere che, nel 2008, portarono ad analizzare a loro spese una forma di formaggio prodotta in zona. I risultati confermarono i sospetti: era contaminato da diossina. Oltre 2000 pecore furono abbattute e partirono le prime denunce che portarono al processo “Ambiente svenduto”.

Ha preso avvio nel 2016 e ha coinvolto oltre 40 imputati, tra cui politici, funzionari pubblici e dirigenti aziendali. Il dibattimento si è concentrato sulla responsabilità della proprietà e della dirigenza dell’Ilva riguardo all’inquinamento prodotto e sulle conseguenze sanitarie per la popolazione locale.

Nel maggio 2021, la Corte d’Assise di Taranto ha emesso una storica sentenza di primo grado, condannando a pene severe molti degli imputati.

Ad oggi, la vicenda dell’Ilva rimane irrisolta. La sfida di conciliare la necessità di preservare l’occupazione con l’urgenza di ridurre l’impatto ambientale dello stabilimento continua a essere un tema caldo. Il governo italiano e ArcelorMittal sono impegnati in un difficile equilibrio tra la necessità di investimenti ambientali e la sostenibilità economica dell’impianto.

Nel frattempo, la popolazione di Taranto continua a fare i conti con le conseguenze sanitarie e ambientali di decenni di inquinamento. Le famiglie delle vittime chiedono giustizia, e molte di esse sono ancora impegnate in battaglie legali per ottenere risarcimenti.

ILVA a Taranto, i numeri del disastro ambientale

I numeri di questa strage provocati dall’ILVA di Taranto sono spaventosi, specialmente per quanto riguarda il cancro.

Si registrano il 40% in più di casi di tumore tra i lavoratori impiegati nelle fonderie ILVA, ma anche il 50% di malattie tumorali in più anche tra gli impiegati dello stabilimento, esposti solo in modo indiretto. Inoltre si registra un’elevata incidenza anche nella popolazione generale del numero dei casi di cancro, anche tra i bambini.

In particolare si registra un +54% di incidenza delle malattie tumorali nei bambini e un +21% di mortalità infantile (0 – 14 anni). Nei quartieri Tamburi e Paolo VI il dato è ancora più drammatico e risulta maggiore del 70% rispetto alla media della città.

E poi ci sono le malattie asbesto correlate: solo a Taranto è stata registrata una percentuale di mesoteliomi pari al 40% dell’intera Regione Puglia. Tra le patologie che si sono maggiormente diffuse anche il tumore del polmone, della laringe, faringe, etc., ed altre patologie amianto correlate.

Il dato spaventoso è che ancora oggi l’incidenza di tali malattia è elevata. Questo perché lo smaltimento dei materiali cancerogeni è tutt’oggi in corso.

L’asbesto ha provocato non meno di 1.020 decessi, solo tra i cittadini di alcuni quartieri: Tamburi, Paolo VI, Città Vecchia-Borgo di Taranto. 201 sono i casi di asbestosi, una malattia causata esclusivamente dall’amianto.

L’inquinamento ambientale dell’ILVA: quali pericoli?

Tra i cancerogeni dispersi nell’ambiente ci sono ferro, ossidi di ferro, arsenico, piombo, vanadio, nichel e cromo. Presenti anche nell’aria anche molibdeno, nichel, piombo, rame, selenio, vanadio, zinco, platino, ossidi di zolfo e di azoto, in particolare NO2. .

L’asbesto inoltre è ancora presente negli stabilimenti. Si tratta di un potente cancerogeno come confermato nell’ultima monografia dello IRAC.

Tutte le vicende giudiziare del processo “Ambiente svenduto”

Ci sono voluti nove anni per ricevere una sentenza, quantomeno definitiva. I vertici dell’ILVA sono stati condannati per disastro ambientale. La Corte d’Assise di Taranto ha condannato i due principali responsabili, Fabio Riva e Nicola Riva, rispettivamente a 22 e 20 anni di carcere. Tra i 47 imputati compare anche il nominativo di Nichi Vendola. Quest’ultimo è stato accusato di aver fatto pressione sull’Arpa Puglia, per cercare di “coprire” i danni causati dall’emissioni dello stabilimento. La condanna ricevuta è stata di tre anni e mezzo di reclusione.

Ilva: condannati 28 ex dirigenti nel processo del 2014

Il Tribunale di Taranto in data 23.05.2014 ha condannato 27 ex dirigenti dell’Ilva per le morti causate dall’amianto e da altre sostanze cancerogene provenienti dallo stabilimento siderurgico. Le pene più alte sono state inflitte agli ex manager della vecchia Italsider pubblica alla quale subentrò il gruppo Riva.o.

Con condanna da 4 a 9 anni e mezzo, sono stati condannati ex manager e direttori generali dello stabilimento siderurgico di Taranto Italsider/Ilva, sia dell’era di gestione pubblica sia di quella privata.

La pena più alta, nove anni e mezzo, è andata al manager dell’era pubblica Sergio Noce, 9 anni al suo collega Gianbattista Spallanzani e 9 anni e 2 mesi ad Attilio Angelini, accusati di disastro ambientale e di ventuno omicidi colposi.

Ad otto anni e mezzo Pietro Nardi e Giorgio Zappa, ex dg di Finmeccanica. Fra gli imputati c’era anche il patron dell’Ilva Emilio Riva, morto il 30 aprile scorso, suo figlio Fabio Riva e l’ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso, entrambi condannati a sei anni di reclusione.

Nel corso degli anni gli operai non furono formati ed informati sui rischi dell’amianto, non ricevettero sufficienti visite mediche e tutele per la loro salute entrando in contatto con la pericolosa sostanza che in molti casi ha causato malattie e morte. Il giudice ha stabilito una provvisionale nei confronti dell’Inail di circa 3,5 milioni di euro.

ONA parte civile nel processo ILVA ter del 2019

A carico dei vertici dell’ex ILVA, ora Acciaierie d’Italia, ci sono altri due procedimenti in corso.

Nell’ottobre del 2019 nella prima udienza del processo ILVA ter si conferma la costituzione di parte civile dell’ONA. Sul banco degli imputati siedono dodici ex dirigenti dell’acciaieria più grande d’Europa per l’omicidio colposo di tre lavoratori (morti per mesotelioma) e per lesioni colpose di un altro lavoratore.

L’ONA – ha dichiarato l’avvocato Bonanni – si è costituito parte civile nel procedimento penale al fine di sostenere la pubblica accusa nelle istanze di giustizia e anche per il risarcimento dei danni subiti prima di tutto dalle vittime e dai loro familiari. L’amianto e le altre sostanze tossico-nocive hanno causato l’insorgenza di mesotelioma, tumore del polmone e di altre patologie asbesto correlate. Questi danni debbono essere risarciti, sia quelli della vittima primaria, sia quelli dei loro familiari.

L’Osservatorio ha chiesto anche al Ministro Di Maio il prolungamento dei benefici amianto, utili per il prepensionamento, dal 2 ottobre 2003 ad oggi, ed in ogni caso per ottenere la bonifica.

“La nostra battaglia – ha detto l’avvocato Bonanni – vuole evitare che 2.500 operai, alcuni dei quali già affetti da patologie asbesto correlate, siano privati del lavoro e della dignità. È dimostrato che l’amianto in ILVA è presente ancora oggi ed è giusto che i lavoratori siano collocati in prepensionamento immediato”.

Ex ILVA, gli impianti a caldo continueranno a funzionare

Lo spegnimento degli impianti a caldo è stata bocciato dal Consiglio di Stato il 23 giugno 2021, ribaltando la sentenza del Tar di Lecce.

Per i giudici di Appello non è stato riscontrato “un pericolo ‘ulteriore’ rispetto a quello ordinariamente collegato allo svolgimento dell’attività industriale […] pur senza negare la grave situazione ambientale e sanitaria da tempo esistente nella città di Taranto – hanno sottolineato i giudici del Consiglio di Stato – già al centro di vicende giudiziarie penali e di una sentenza di condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei Diritti Umani, relativa però alla precedente gestione dello stabilimento, rispetto alla quale le misure intraprese negli ultimi anni hanno segnato ‘una linea di discontinuità’”.

Nonostante questo – ha dichiarato l’avvocato Ezio Bonanni – come avvocato delle vittime amianto e presidente dell’ONA credo che al di là di tutto sia inconcepibile che, ad oggi, ci siano ancora tonnellate e tonnellate di amianto all’interno dell’ex stabilimento ILVA. Il Ministero del Lavoro deve intervenire”.

L’ONA da tempo sollecita il Ministero del Lavoro, la Presidenza del Consiglio e lo stesso ministro della Transizione ecologica, a provvedere alla bonifica e messa in sicurezza del sito.

La denuncia dello SLAI COBAS sulla cassaintegrazione

I primi giorni di aprile 2022 il sindacato SLAI COBAS ha denunciato l’impiego della cassaintegrazione permanente per “realizzare esuberi”. “I complessivi 3000 lavoratori che dal 28 marzo l’azienda ha posto unilateralmente in cassintegrazione al di là delle promesse aziendali – si legge nella nota inviata alla stampa – tutti sanno che non saranno solo per 12 mesi, ma almeno fino al 2025 (data attualmente indicata per la ristrutturazione dell’azienda). Ma soprattutto questi 3000 o poco meno sono di fatto i numeri di operai di cui Acciaierie d’Italia vuole liberarsi soprattutto a Taranto”.

Il sindacato pone l’accento poi sull’aumento della produzione in un sito tanto discusso che è già stato sequestrato: “Attualmente i livelli produttivi a Taranto sono tarati per 4 milioni di tonnellate, poi c’è stato il via libera del governo ad aumentare la produzione per far fronte alla carenza di acciaio, con la rimessa in funzione dell’Afo4, per andare verso i 6 milioni di tonnellate. Questo aumento di produzione avrebbe dovuto portare a un rientro dei 1700 operai già in Cigs, invece si mettono in cigs ulteriori 2500 operai a Taranto. E nelle parole della Morselli alla trattativa romana di lunedì 28, un ipotetico rientro viene nuovamente rinviato legandolo alla prospettiva di produzione di 8 milioni di tonnellate, con l’entrata in funzione del forno elettrico tutto lì da venire”.

Questo significa chiaramente che buona parte dei lavoratori cassintegrati – hanno concluso dal sindacato – ora diventeranno esuberi. Significa più produzione con meno operai, con più sfruttamento nello stabilimento e con più rischio per la salute. Mentre i piani di aumento della produzione ci sono, i piani di messa in sicurezza, anche di manutenzione degli impianti no e incidenti e infortuni sono sempre all’ordine del giorno. Sono evidenti anche gli effetti del conseguente peggioramento delle condizioni ambientali da inquinamento ILVA a Taranto”.

Il convegno ONA a Taranto del 27 novembre 2021

Per affrontare l’annoso problema dell’ILVA di Taranto l’ONA, insieme all’USB, ha organizzato anche un convegno.

E’ necessario – ha spiegato l’avvocato Ezio Bonanni in quella occasione – un diverso approccio da parte delle istituzioni. Questi problemi non possono essere risolti solo con le azioni giudiziarie repressive di reati. È indispensabile mettere in pratica il concetto di prevenzione primaria che, attraverso la bonifica, restituisca dignità ai territori sfregiati da una cultura che ha privilegiato il profitto alla vita umana”.

Il territorio, quello ionico – ha aggiunto Francesco Rizzo, della segreteria nazionale USB – è purtroppo interessato in maniera importante dalla presenza dell’amianto. Solo all’interno dello stabilimento siderurgico si contano ancora ben 4.000 tonnellate della sostanza, molto pericolosa per la salute. Altrettanto preoccupante la situazione all’interno dell’Arsenale”.

Da molti decenni i lavoratori dell’industria, a Taranto ILVA e altre altrove, sono stati lasciati soli ad affrontare le gravi crisi globali – ha dichiarato il professor Gaetano Veneto, Ordinario di Diritto del lavoro all’Università di Bari -. L’internazionalizzazione di aziende del settore meccanico – siderurgico, dalla Fiat alla Italsider, o del trasporto aereo, ha causato processi di emarginazione, ignorando la ricaduta sul lavoro. Quest’ultima si amplifica dal vuoto di rappresentanza della politica, con decisioni prese senza alcun progetto globale, talvolta perfino lasciando adito a gravi sospetti”.

 

Acciaierie d’Italia contesta valutazione danno sanitario

Nel 2022 consulenti di Acciaierie d’Italia hanno trasmesso una relazione al Ministero della Transizione Ecologica nella quale contestano la valutazione di danno sanitario. Nello studio mettono in evidenza quelli che sono, dal loro punto di vista, i limiti della valutazione del danno sanitario.

Una norma inserita dal governo Draghi nel decreto Milleproroghe permetterebbe inoltre di utilizzare i fondi sequestrati alla famiglia Riva non solo per “risanamento e la bonifica ambientale dei siti”. Questo consentirebbe ad Acciaierie d’Italia di continuare a produrre acciaio e restare in vita puntando alla decarbonizzazione.

Il Governo avrebbe dovuto utilizzare quei fondi, che provengono dal sequestro di oltre un miliardo di euro ai vertici dell’azienda, esclusivamente alla bonifica del territorio. Così, qualcuno suggerisce, sarebbero invece un aiuto di Stato alle Acciaierie d’Italia. Su questo il dibattito, anche all’interno dell’Unione europea sarà acceso.

Momentaneamente, nemmeno il governo Meloni è riuscito a sistemare l’intera situazione. La Presidente del Consiglio pensa che l’industria siderugica possa avere ancora molte possibilità sul mercato europeo, per questo non nasconde i suoi ambiziosi obiettivi, che comprendono anche l’ex ILVA di Taranto.

La Cedu condanna un’altra volta l’Italia

La Cedu, Corte europea dei diritti dell’uomo, nel 2022 si è espressa ulteriormente sulla questione dell’ex ILVA di Taranto e ha condannato lo Stato italiano, incolpandolo di inadempimento. L’Italia infatti ha continuato a non prendere alcuna posizione concreta sull’intera vicenda. La Cedu ha fatto leva proprio su questo atteggiamento, per riproporre la nuova condanna. L’azienda, purtroppo, continua ad essere un pericolo non solo per l’ambiente, ma anche per i cittadini del capoluogo pugliese.