La Guerra in Bosnia ed Erzegovina, e più in generale le guerre dei Balcani, sono tristemente legate a doppio filo alla cosiddetta Sindrome dei Balcani: una lunga lista di malattie che hanno colpito i militari impegnati nelle missioni in ex Jugoslavia, oltre che la popolazione civile. Fu proprio su questo teatro di guerra che fu usato per la prima volta nella storia bellica l’Uranio Impoverito. Esso provoca l’inalazione e l’assorbimento di nanoparticelle di metali pesanti prodotte per combustione ad altissima temperatura di bersagli metallici colpiti dai proiettili all’uranio impoverito.

In questa pagina scoprimao tutto sulla Guerra in Bosnia e approfondiamo il tema della tutela legale del personale delle Forze Armate italiane impegnate nelle missioni di pace. Molti dei nostri militari che hanno contratto una malattia legata a queste esposizioni dannose nell’esercizio della loro professione hanno già ottenuto lo status di vittime del dovere a cui fanno capo una serie di benefici, che vedremo in seguito nel dettaglio.

L’ONA – Osservatorio Nazionale Amianto e il suo Presidente, l’Avvocato Ezio Bonanni, sono impegnati nell’assistenza legale di numerosi militari dell’Esercito e della Marina Militare Italiana che hanno contratto malattie causate dall’utilizzo di uranio impoverito e conseguente contaminazione da metalli pesanti.

Gli effetti del metallo sono stati spesso acutizzati da un’errata procedura vaccinale. In alcuni casi le cause legali sono ancora in corso. Lo sforzo non si ferma però alla tutela legale, ma prosegue nell’informazione e nella sensibilizzazione, attraverso convegni e articoli su questo increscioso tema che coinvolge lo Stato.

Guerra in Bosnia ed Erzegovina: gli elementi salienti

La Guerra in Bosnia ed Erzegovina si è combattuta tra il 1º marzo 1992 e il 14 dicembre 1995, fino alla stipula dell’accordo di Dayton, che pose ufficialmente fine alle ostilità. Il conflitto ebbe tutte le caratteristiche di un conflitto internazionale. L’esercito bosniaco combatteva contro l’esercito della Repubblica di Croazia che mirava ad annettere alcuni territori della Bosnia. Anche la Repubblica di Serbia ha partecipato attivamente nel conflitto anch’essa con l’obiettivo di annessione di una parte del territorio bosniaco.

Questa guerra si inserisce nel panorama più ampio delle guerre Jugoslave, combattutesi dal 1996 al 1999. Dopo una decina di anni dalla morte di Tito, esse portarono alla dissoluzione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Questa aveva tenuto insieme, sotto il governo socialista (nella cosiddetta politica della Fratellanza e Unità, ma spesso anche con la coercizione) le diverse istanze nazionalistiche, condite da antichi odi territoriali, etnici e religiosi.

La Slovenia fu la prima a mostrare insofferenza per le strutture federali e a votare per l’indipendenza a cui la Repubblica Federale si oppose con le armi. Iniziò così la guerra di indipendenza slovena, combattuta nel 1991 e seguita da una serie di conflitti separati, primo fra tutti il conflitto serbo-croato.

Le armi usate nella Guerra in Bosnia ed Erzegovina

guerra kosovo

Durante le operazioni intraprese dalla NATO nella Guerra in Bosnia ed Erzegovina vennero utilizzati armamenti (Missili “Cruise” e “Tomahawk”, Aerei Fairchild A-10 “Warthog”) che utilizzavano anche munizioni contenenti uranio impoverito.

I proiettili all’uranio impoverito furono usati in maniera massiva da forze aeree e da forze di terra. Il loro utilizzo e la loro intrinseca “piroforicità”, comportarono l’emissione in atmosfera e la ricaduta sulle matrici ambientali di ben significative quantità di aerosol di Uranio Impoverito (Depleted Uranium).

L’uranio impoverito, molti metalli pesanti, il particolato e le nanoparticelle hanno proprietà genotossiche riconosciute dalla letteratura scientifica internazionale. L’inalazione o ingestione di materiali con proprietà genotossiche aumenta la probabilità d’insorgenza di patologie tumorali.

Vi è una sufficiente evidenza scientifica che l’esposizione a uranio, metalli pesanti, polveri fini e nanoparticelle di origine bellica comporti, nel corso degli anni, l’aumento della probabilità d’insorgenza di effetti ritardati dovuti alla loro azione genotossica, principalmente tumori negli esposti e malformazioni genetiche nella loro progenie. Tali effetti, di tipo stocastico, sono possibili anche a livelli relativamente bassi di esposizione.

Uranio impoverito: che cos’è e danni?

L’Uranio Impoverito (UI) rappresenta un sottoprodotto del processo di arricchimento dell’Uranio, in cui il livello di Uranio-235 (U235) viene ridotto di due terzi rispetto alla sua composizione originale di Uranio naturale. Grazie alla sua elevata densità (19 g/cm3), l’Uranio Impoverito risulta particolarmente efficace nella penetrazione delle corazzature.

Le proprietà chimiche e metalliche dell’UI sono del tutto simili a quelle dell’Uranio naturale, con conseguenti rischi correlati alla sua tossicità chimica e radiologica. La Nuclear Regulatory Commission degli Stati Uniti classifica tale materiale come utilizzabile soltanto previa autorizzazione specifica.

L’autorizzazione generale consente l’uso e il trasporto dell’UI in quantità di 15 libbre (circa 6,8 kg) per volta, con un limite massimo di 150 libbre all’anno (circa 68 kg). Per ottenere autorizzazioni specifiche, è necessario presentare una documentazione dettagliata sull’utilizzo previsto del materiale, includendo specifici riferimenti all’attrezzatura impiegata, al rispetto delle norme di sicurezza e igieniche, nonché alla formazione del personale coinvolto.

Approfondisci su “Alcune Tesi e Fatti sull’Uranio Impoverito (DU), sul suo Uso nei Balcani, sulle Conseguenze sulla Salute di Militari e Popolazione” del Comitato scienziate e scienziati contro la Guerra.

Uranio impoverito nella Guerra in Bosnia

Quando un proiettile contenente uranio impoverito colpisce un bunker o un veicolo corazzato, l’esplosione che ne deriva genera nanoparticelle di metalli pesanti rilasciate nell’ambiente a seguito delle temperature estremamente elevate.

Tra questi metalli pesanti si trova il piombo che l’International Agency for Research on Cancer (IARC) ha classificato nel volume 77 del 2006 come un possibile cancerogeno per l’uomo, dimostrando una tossicità comprovata e la capacità di causare danni biologici significativi. L’inalazione porta al deposito di questo metallo radioattivo nei polmoni e in altri organi, aumentando il rischio di sviluppare vari tipi di cancro.

Nei Paesi che sono stati maggiormente esposti all’utilizzo di uranio impoverito durante conflitti bellici, si sono verificati numerosi casi di malattie del sistema ematopoietico e gastrointestinale, sia tra i militari che tra i civili.

Questo fenomeno, conosciuto come “Sindrome dei Balcani”, è stato ampiamente documentato. Per ulteriori approfondimenti sugli effetti del l’Uranio Impoverito sulla salute, si può consultare il documento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità intitolato Depleted Uranium. Sources, exposures and health effects“.

L’epidemia fra coloro che hanno partecipato alle missioni di peacekeeping nei Balcani ha colpito più di 7.500 militari italiani, con circa 400 deceduti. Tra le patologie che hanno maggiormente colpito gli esposti ci sono:

  • danni renali;
  • cancro ai polmoni;
  • tumore alle ossa;
  • carcinoma all’esofago;
  • problemi alla pelle;
  • disturbi neurocognitivi;
  • anomalie cromosomiche;
  • sindromi da immunodeficienza;
  • rare malattie renali e intestinali;
  • malformazioni genetiche ai nascituri;
  • linfomi di Hodgkin e leucemie.

I danni alla salute visti nel dettaglio

Quando si verifica una contaminazione interna da uranio, i composti solubili (uranili, UVI) possono causare danni chimici ai tubuli convoluti prossimali dei reni, portando a sintomi come ematuria, albuminuria, formazione di masse ialine e granulari all’interno delle cavità renali, azotemia e necrosi tubulare.

I composti meno solubili (uranosi, UIV) tendono ad essere trattenuti principalmente nei polmoni se inalati, oppure si accumulano nelle ossa durante la fase di mineralizzazione. Inoltre, questi composti inibiscono il metabolismo dei carboidrati nel complesso dell’ATP-uranil-esochinasi, causando un blocco nel trasferimento dei fosfati al glucosio e l’inibizione della prima fase dell’utilizzo metabolico degli zuccheri.

L’alta specificità degli isotopi di uranio per gli organi bersaglio, unita alla loro lunga emivita e alla radiazione corpuscolare, provoca danni chimici e radiologici a organi come l’albero bronchioalveolare, i reni e le ossa, portando ad alterazioni somatiche e genetiche e, di conseguenza, al rischio di cancro.

Sebbene le radiazioni alfa degli isotopi di uranio presenti nell’Uranio Impoverito (UI) non rappresentino un rischio significativo, le radiazioni beta da 2,29 MeV (234 Pa) hanno un raggio d’azione di 0,5 cm nell’alluminio e di diversi centimetri nei tessuti umani, risultando in un’esposizione ai raggi beta di circa 217-20,4 mR/h. Questo è confermato dalla monografia IARC  dedicata alle radiazioni. I raggi gamma sono invece il principale tipo di radiazione emessa da una cartuccia contenente Uranio Impoverito.

La contaminazione del corpo con Uranio Impoverito costituisce un rischio sia chimico che fisico quando l’uranio entra nell’organismo tramite la pelle, l’ingestione o l’inalazione, o attraverso ferite o ustioni. L’ossido di uranio trattenuto nei polmoni può causare lesioni tumorali come il carcinoma epidermoide.

Il caso di Cabigiosu Sergio e la Guerra in Bosnia

Cabigiosu Sergio prestò servizio presso il 5° Reggimento Alpini per missione estera nell’Operazione «JOINT FORGE» in SARAJEVO (BOSNIA) dal 12 febbraio 2001 al 03 luglio 2001 con l’incarico di Vice Comandante di Plotone.

Fu collocato in congedo per fine ferma volontaria di anni due in data 19 maggio 2001, con diagnosi del gennaio del 2017, di leucemia mieloide cronica, per la quale è in cura. La leucemia mieloide acuta, come altri tumori del sangue contratti dai militari italiani nella Guerra in Bosnia, è connessa all’esposizione alle nanoparticelle di metalli pesanti e altri composti sprigionati dalle denotazioni di proiettili all’uranio impoverito.

Il irschio di sviluppare la malattia è connesso a errate procedure vaccinali a cui il sottotenente è stato esposto.

Col. Calcagni contaminato da uranio e metalli pesanti

vittime del dovere-causa di servizio

Nel corso della quinta puntata di ONA TV, è intervenuto il Colonnello Carlo Calcagni elicotterista nei Balcani e in particolare nel teatro di Guerra in Bosnia Erzegovina. Contaminato dall’Uranio Impoverito e da 28 metalli pesanti soffre di ben 24 patologie, tra cui la sindrome da Sensibilità Chimica Multipla.

Quando racconta il suo calvario parla di oltre 300 punti di sutura e di quotidiane terapie che è costretto a subire ogni giorno tra cui dialisi e circa 300 medicinali al giorno. Tra questi oltre 75 sostanze chimiche che si comportano come una sorta di antidoto in gradi di permettergli di essere esposto quotidianamente a sostanze chimiche che non provocano alcuna reazione in soggetti non contaminati.

Il difficile riconoscimento da parte delle amministrazioni

Il Colonnello Calcagni è intervenuto anche al convegno dell’ONA“Guerra e pace: vittime del dovere” portando avanti un’ampia campagna di sensibilizzazione perché non esistano più vittime del dovere e perché le istituzioni non ignorino la gravità dei fatti. Come vedremo in seguito infatti, lo status di vittime del dovere e il nesso causale per la causa di servizio, nel caso di esposizione a Uranio Impoverito e nanoparticelle di metalli pesanti, è di difficile riconoscimento da parte dell’Amministrazione.

Citiamo il caso di Di Vico, morto per un tumore professionale ed esposto ad amianto, uranio impoverito e nanoparticelle di metalli pesanti in Kosovo e in Albania a cui era stata negata la causa di servizio. Solo dopo il decesso gli è stato riconosciuto lo status di vittima del dovere e la famiglia ha ottenuto il risarcimento dei danni subiti iure hereditas e iure proprio per un totale di 600.000 euro. I contenziosi sono stati seguiti personalmente dall’Avvocato Ezio Bonanni, come nella sentenza Di Vico.

Vittime del dovere: requisiti per il riconoscimento

Le vittime del dovere sono individui che hanno prestato servizio in specifiche attività, come indicate nell’articolo 1, comma 563, della Legge 266/2005. Nel corso degli anni, queste protezioni si sono estese a coloro che hanno partecipato a missioni, come quelle nel Kosovo, e hanno svolto attività in condizioni ambientali ed operative particolari.

In caso di malattia e/o morte, sorge il diritto al riconoscimento dello status di vittima del dovere. Questo si verifica nei seguenti casi:

  • Nel contrasto a qualsiasi tipo di criminalità.
  • Nell’adempimento di servizi di ordine pubblico.
  • Nella sorveglianza di infrastrutture civili e militari.
  • In operazioni di soccorso.
  • Nelle attività di tutela della pubblica incolumità.
  • A causa di azioni in contesti di impiego internazionale che non necessariamente implicano ostilità.

Quando tali lesioni si sono verificate durante lo svolgimento del servizio in condizioni di rischio al di fuori della norma, si ha anche il diritto a una completa equiparazione come vittime del dovere. Si fa riferimento a condizioni ambientali e operative straordinarie (articolo 1, comma 564, Legge 266/2005 e articolo 1 del D.P.R. 243/2006), come l’esposizione all’amianto, a nanoparticelle di uranio impoverito per proiettili o a radiazioni ionizzanti:

per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”.

Guerra in Bosnia: benefici per le vittime del dovere

I benefici previsti dalla legge per le vittime del dovere includono:

  • Un’elargizione speciale di 200.000 euro, oltre all’aggiornamento monetario, in caso di inidoneità al servizio o invalidità non inferiore all’80% (nei casi diversi, 2.000 euro per punto percentuale, oltre all’aggiornamento monetario).
  • Un assegno mensile di 500 euro, a condizione che vi sia una lesione invalidante pari al 25%.
  • Un assegno speciale di 1.033,00 euro mensili, a condizione che vi sia una lesione invalidante pari al 25%.
  • Due annualità di pensione per i beneficiari della reversibilità.
  • Esenzione dall’imposta sul reddito delle pensioni.
  • Assunzione tramite chiamata diretta con priorità assoluta rispetto ad ogni altra categoria (diritto esteso ai figli o al coniuge in caso di decesso o invalidità che impedisce la prosecuzione dell’attività lavorativa).
  • Esenzione dal pagamento del ticket sanitario.
  • Accesso alle borse di studio.
  • Assistenza psicologica.

Lo status di vittima del dovere è imprescrittibile in conformità all’articolo 2934 del Codice Civile, in relazione agli articoli 2 e 38 della Costituzione. Questo principio è di grande importanza poiché consente di ottenere tutela anche se sono trascorsi più di 10 anni dall’evento lesivo.

Totale equiparazione a vittime del dovere

Le vittime del dovere sono equiparate alle vittime del terrorismo (Suprema Corte di Cassazione, Sentenza n. 22753 del 2018). Tuttavia, questa equiparazione totale riguarda solo le prestazioni a favore della vittima e non include gli orfani che non sono a carico fiscale.

Nel corso degli anni, grazie all’impegno dell’Avvocato Ezio Bonanni, sono stati ottenuti importanti risultati anche per la tutela degli orfani di vittime del dovere che non sono a carico fiscale. Ci sono state pronunce significative, tra cui quella della Corte di Appello di Genova – Sezione Lavoro n. 575/2019, che ha accettato la richiesta di orfani non a carico. Tuttavia, a seguito della sentenza della Corte di Cassazione Ordinanza Sezione 6 n. 15224 del 2021, la questione è rimasta da affrontare dopo la sentenza della Suprema Corte n. 22753 del 2018.

Le tutele per i superstiti delle vittime del dovere

In seguito al decesso, tutte le prestazioni maturate dalla vittima vengono erogate ai suoi eredi legittimi, comprese le prestazioni previdenziali e risarcitorie. Ne rimangono esclusi come superstiti delle vittime del dovere, come già detto, gli orfani non a carico fiscale. Si applicherebbe, secondo l’Avvocatura dello Stato infatti, l’art. 6, comma 1, n. 1 della L. 466/1980, che identifica tra i superstiti solo i figli nel carico fiscale e il coniuge.

Questa discriminazione è inaccettabile. Questa vicenda è stata rimarcata nei suoi aspetti paradossali, dallo stesso Avv. Ezio Bonanni sentito dalla I Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica (29.10.2019).

Purtroppo, la Corte di Cassazione, ha accolto le richieste dell’Avvocatura dello Stato, ritenendo applicabile questa normativa. Così Cass. Sez. Lav., 11181 del 2022. Però, con delle eccezioni. In attesa del Legislatore, la Corte tutela gli orfani non a carico in assenza del coniuge oppure se questi non è titolare di pensione. Infatti, secondo la stessa Cassazione, Sez. Lav. 11181/2022, sono fatti salvi i diritti degli orfani non a carico fiscale solo in questo caso.

I beneficiari dell’equiparazione a vittime del dovere

La Legge 466/1980 indica che sono equiparati a vittime del dovere: magistrati ordinari, militari dell’Arma dei Carabinieri e del Corpo di finanza, appartenenti alle guardie di pubblica sicurezza e del Corpo degli agenti di custodia, il personale del Corpo forestale dello Stato e del Corpo di polizia femminile. A vittime del dovere equiparazione si aggiungono il personale civile dell’Amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, vigili del Fuoco, appartenenti alle Forze armate dello Stato in servizio di ordine pubblico o di soccorso.

La legge è arrivata a includere come equiparati vittime del dovere anche ad altri tipi di vittime. In particolare, questo diritto è riconosciuto a tutti coloro che nell’adempimento di un dovere hanno subito delle infermità, dunque un danno biologico (SS. UU. 22753/2018). Sono quindi compresi i dipendenti pubblici e coloro che non sono dipendenti pubblici, ma hanno svolto un servizio per la PA in esposizione ad amianto o ad altri cancerogeni (Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con Sent. n. 22753/2018).

Vittime del dovere e il risarcimento integrale dei danni

La vittima del dovere e i loro eredi leggittimi hanno diritto al totale risarcimento dei danni. Perciò vanno ristorati i danni patrimoniali (danno emergente e lucro cessante) e danni non patrimoniali subiti (morali, biologici, esistenziali).

I familiari eredi legittimi hanno diritto anche al risarcimento dei danni subiti iure proprio. Il risarcimento del danno parentale spetta anche a coloro che possono dimostrare un rapporto di affetto con la vittima, la cui morte comporta uno stravolgimento sostanziale della propria esistenza e radicali e fondamentali cambiamenti di vita dovuti alla perdita.

Vi sono differenti strade con cui si può conseguire l’ottenimento di un risarcimento danni, come:

  • costituirsi parte civile nel processo penale e chiedere la condanna del Ministero, sia esso della Difesa, dell’Interno, o dell’Economica e delle Finanze, in solido con gli imputati, al risarcimento dei danni da reato (lesioni colpose in caso di patologia oppure omicidio colposo in caso di decesso);
  • esercitare l’azione civile presso il TAR, facendo valere la responsabilità contrattuale per violazione dell’obbligo di sicurezza;
  • esercitare l’azione civile con azione presso il Tribunale di Roma, chiedendo la condanna del Ministero responsabile, per i profili di responsabilità extracontrattuale e civile da reato.

Quantificazione del danno non patrimoniale

Le prestazioni sia previdenziali che risarcitorie si misurano sul grado di invalidità. Sia lo speciale assegno vitalizio che l’assegno vitalizio mensile sono erogati solo a coloro riconosciuti con un grado di invalidità non inferiore al 25%. Il criterio per la quantificazione è quello del dPR 181 del 2009 e non l’art. 5 d.P.R. n. 243/2006, con gli artt. 5 e 6 I. n. 206/2004.

Si tratta di una tutela importante, perché il Legislatore ha sancito che l’invalidità rilevante deve comprendere anche il danno morale subito. Ciò comporta una rivalutazione retroattiva delle prestazioni su istanza dell’interessato.

Causa di servizio nella Guerra in Bosnia

I militari impiegati nella Guerra in Bosnia che hanno riportato malattia devono ottenere lo status di vittime del dovere. Per ottenere questo status è necessario in primis ottenere il riconoscimento della causa di servizio, attraverso il nesso tra la malattia e la missione svolta. Questo “suffragato dai referti medici che attestano la presenza metalli pesanti, in forma di micro e nano particelle, ed elementi chimici in quantità a volte esorbitanti e quindi non altrimenti spiegabili se non attraverso l’esposizione a sostanze inquinanti presumibilmente presenti nell’ambiente di lavoro” (Consiglio di Stato, II sezione, n. 5816/2021).

In caso di infermità contratte da militari a causa dell’esposizione a polveri sottili derivanti dall’uranio impoverito, il verificarsi dell’evento costituisce un dato ex se sufficiente a ingenerare il diritto per le vittime delle patologie e per i loro familiari al risarcimento a meno che la Pubblica amministrazione non riesca a dimostrare che essa non aveva determinato l’insorgenza della patologia la quale dipenda, invece, da fattori esogeni, dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica e determinanti per l’insorgere dell’infermità” (T.A.R. Torino, (Piemonte), sez. I, 06/03/2015, n. 429).

Ai sensi dell’art. 6 del DPR 243/2006, sovrapponibile a quella di cui all’art. 7 del DPR 461/2001, per la causa di servizio si ha la rilevanza di qualsiasi causa che abbia anche solo contribuito ad anticipare l’insorgenza, ovvero aggravare le infermità, ovvero anticipare la data della morte, come causa efficiente e determinante anche a titolo concausale, ex art. 64, 1° e 2° co., del DPR 1092/1973, rispetto alle regole della responsabilità civile, che non trovano applicazione nell’ambito dell’accertamento della causa di servizio in particolari condizioni ambientali ed operative eccedenti l’ordinarietà, ai sensi dell’art. 1, co. 564, L. 266/2005, e art. 1 del d.p.r. 243/2006.

Missioni in Kosovo: status di vittime del dovere

L’art. 1, co. 564, L. 266/2005, e art. 1 del d.p.r. 243/2006 recita: «Laddove, invece, l’istanza tenda alla percezione della speciale elargizione, si verte in un ben diverso ambito indennitarioI presupposti del risarcimento del danno e della speciale elargizione sono del tutto diversi: nel primo caso l’integrazione di tutti gli elementi propri di un’ipotesi di responsabilità civile, tra cui pure la prova del nesso eziologico e dell’elemento soggettivo in capo al danneggiante.

Nel secondo caso la mera dimostrazione di aver affrontato – senza che ciò integri “colpa” dell’Amministrazione – “particolari condizioni ambientali od operative”, connotate da un carattere “straordinario” rispetto alle forme di ordinaria prestazione del servizio, che siano la verosimile causa di un’infermità. Inoltre, il risarcimento del danno compete a chiunque e dipende nel quantum dall’effettivo danno riportato, mentre la speciale elargizione spetta solo ai soggetti individuati dalla legge ed è quantificata a monte in misura predeterminata» (Consiglio di Stato, II sezione, n. 5816/2021).

Vediamo di seguito perché per i militari in missione che hanno riportato una malattia correlata all’esposizione all’uranio impoverito e a nano particelle di metalli pesanti deve vigere la totale equiparazione a vittime del dovere. Ovvero la conferma del nesso causale e/o della causa di servizio in particolari condizioni ambientali ed operative eccedenti l’ordinarietà, ai sensi dell’art. 1, co. 564, L. 266/2005, e art. 1 del d.p.r. 243/2006.

Missione Kosovo in particolari condizioni ambientali

L’art. 1 del d.P.R. 7 luglio 2006, n. 243 definisce le missioni come attività di qualunque natura, anche ordinarie funzioni e mansioni, “quali che ne siano gli scopi, autorizzate dall’Autorità gerarchicamente o funzionalmente sopraordinata al dipendente”.

La stessa sentenza già citata afferma che: “per particolari condizioni ambientali od operative“, si intendono “le condizioni comunque implicanti l’esistenza o anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi e fatiche in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti d’istituto”.

Sulla base di SS.UU. 15055/2017, le “particolari condizioni ambientali e operative” sono legate anche a “grave errore organizzativo“, che è individuabile nella “imprudente organizzazione del servizio da parte dell’organizzazione“, che ha aggravato il rischio (così Tribunale di Palermo, sezione lavoro, sentenza n. 2420/2020, pubblicata il 03.09.2020, a definizione del proc. n. 7696/2015 RG). Quindi per missione in condizione di rischio si intendono tutte le attività che hanno comportato una violazione di regole cautelari.

Carattere “straordinario” della prestazione del servizio

I militari che hanno contratto infermità a causa dell’esposizione operaono senza dispositivi personali di protezione in locali, e svolsero le loro mansioni in aree, luoghi, situazioni sprovvisti/e di appropriati specifici e dedicati “sistemi di sicurezza”.

Inoltre è richiesto un quid pluris di disagio sofferto nel corso dell’espletamento del servizio: tale disagio consegue al carattere “straordinario” della prestazione del servizio, da cui sia conseguita la sottoposizione dell’istante “a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”. Va sottolineato che l’appartenenza alle Forze Armate, oltre a comportare di per sé condizioni di vita strutturalmente più gravose rispetto all’impiego civile (a mero titolo di esempio, sottoposizione a rigido vincolo gerarchico, continuo addestramento fisico, pronta reperibilità, frequenti trasferimenti, et similia), impone al militare di esporsi al pericolo: dunque la “straordinarietà” richiesta dall’art. 1079 D.P.R. n. 90 del 2010.

Accertamento e presunzione a carico dell’Amministrazione

Il complesso normativo di riferimento è quello di cui all’art. 1078 del DPR 90/2010, in combinato disposto con l’art. 603 del D.L.vo 66/2010, e con l’ambito di applicazione quello di cui all’art. 1079 dello stesso DPR 90/2010.

Il Piombo, il Cromo, il Mercurio, il Rame e lo Zinco sono tra i metalli pesanti individuati ex art. 1078 (Capo II – Soggetti che hanno contratto infermità o patologie tumorali per particolari condizioni ambientali ed operative) del D.P.R. 15 marzo 2010 n.90 quali responsabili, se introdotti nell’organismo umano in dimensioni nanometriche, dell’insorgenza di patologie tumorali; al pari delle radiazioni ionizzanti e non ionizzanti.

Il DPR 90/2010 all’art. 1078  definisce il trattamento previdenziale e per le invalidità di servizio ai soggetti esposti a particolari fattori di rischio, che hanno contratto infermità o patologie tumorali per particolari condizioni ambientali od operative, per cui rilevano le missioni e allo stesso tempo il teatro operativo all’estero, e le particolari condizioni, già di per sé e per effetto di tale impiego.

Il diritto delle vittime alla pensione privilegiata

Il successivo art. 1079 prevede che ai soggetti siano corrisposte le elargizioni previste per le vittime del dovere.

In ambito previdenziale e più specificamente nella pensionistica privilegiata, vige il concetto della interdipendenza. Per consolidata dottrina medico-legale e giurisprudenziale, l’espressione interdipendenza delinea un rapporto di causalità, giuridicamente rilevante, che consente di correlare un’invalidità, già indennizzata, ad ogni altra menomazione dell’integrità anatomo-funzionale, diffusione o complicazione, nosograficamente nuova e diversa, interessante lo stesso organo o apparati o organi ed apparati cofunzionali, tanto che il danno anatomo-funzionale deve essere valutato nel suo complesso, per cui similare ragionamento in termini di rapporto causale e di interdipendenza deve applicarsi nella ricostruzione dell’evento.

Per cui «Il fatto che, allo stato delle conoscenze scientifiche, non sia acclarata l’effettiva valenza patogenetica dell’esposizione all’uranio impoverito non osta, dunque, al diritto alla percezione dell’indennità, che comunque spetta allorché l’istante abbia contratto un’infermità verosimilmente a causa di “particolari condizioni ambientali ed operative”, di cui “l’esposizione e l’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e la dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico” costituiscono solo un possibile aspetto» (Consiglio di Stato, II sezione, n. 5816/2021).

Il problema del nesso causale e l’onere della prova

Per quanto riguarda lo status di vittima del dovere vale il principio dell’inversione dell’onere della prova in relazione all’esposizione ad uranio impoverito, oltre che all’amianto. In questo caso sono rilevanti tutte le esposizioni, anche quelle indirette e per contaminazione del lungo servizio, in patria e nelle missioni all’estero. Infatti i benefici per le vittime del dovere non si basano sul profilo dell’esposizione all’uranio impoverito o nano particelle, ma sulla sottoposizione a “gravose condizioni ambientali e operative” e della conseguente contrazione di infermità in una platea di soggetti definiti dalla legge a:

  • personale militare e civile italiano impiegato in “missioni di qualunque natura”, sia in patria sia all’estero;
  • personale militare e civile italiano impiegato presso “i poligoni di tiro ed i siti in cui vengono stoccati munizionamenti”;
  • al personale militare e civile italiano impiegato “nei teatri operativi all’estero” (evidentemente anche al di fuori di una specifica “missione” condotta dalla Forza Armata o dall’Amministrazione di appartenenza) ed al personale militare e civile italiano impiegato nelle aree specificate;
  • “cittadini italiani” “operanti nei settori della cooperazione ovvero impiegati da organizzazioni non governative nell’ambito di programmi aventi luogo nei teatri operativi all’estero”;
  • “cittadini italiani residenti” “nelle zone adiacenti alle basi militari sul territorio nazionale presso le quali è conservato munizionamento pesante o esplosivo e alle aree specificate”.

In caso di decesso dell’interessato, del beneficio fruiscono “il coniuge, il convivente e i figli superstiti dei soggetti, i genitori ovvero i fratelli conviventi e a carico qualora siano gli unici superstiti”.

La prova del nesso causale: come funziona?

Molto spesso, in particolare con riferimento alle patologie più gravi, esitate nel decesso del militare che ne era affetto, il C.V.C.S. si è espresso in termini negativi per l’asserita mancanza di certezza assoluta, sul piano scientifico, in ordine al nesso di causalità, senza alcuna valutazione del criterio probabilistico-statistico che, per costante insegnamento dei giudici di legittimità, deve essere applicato in questi casi, anche con riguardo alla causa di servizio (Cassazione civile, sez. un., 17/06/2004, n. 11353, e, da ultimo, Cassazione civile, sez. lav., 02/01/2018, n. 12).

Ma il T.A.R. Genova, (Liguria), sez. I, 29/09/2016, n. 956 afferma che in tema di accertamenti in ordine alla dipendenza da causa di servizio, l’impossibilità di stabilire, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, un nesso diretto di causa-effetto tra l’impiego nei contesti fortemente inquinati dei teatri operativi (nella specie il ricorrente era stato impiegato nel 2002 nel Kosovo in zone interessate dall’utilizzo di ordigni all’uranio impoverito) e la patologia neoplastica comporta che non debba essere richiesta la dimostrazione dell’esistenza del nesso causale con un grado di certezza assoluta, essendo invece sufficiente la dimostrazione in termini probabilistico-statistici, come indicato nella relazione della Commissione parlamentare di inchiesta nominata in materia.

Guerra in Kosovo e il criterio di probabilità

In tale ottica, il verificarsi dell’evento costituisce ex se un dato sufficiente, secondo il cosiddetto “criterio di probabilità“, a far sì che le vittime delle patologie abbiano diritto ai benefici previsti dalla legislazione vigente ogni qual volta, accertata l’esposizione del militare all’inquinante in parola, l’amministrazione non riesca a dimostrare che essa non abbia determinato l’insorgenza della patologia e che questa dipenda, invece, da fattori esogeni dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica.

“In concordanza con il «criterio di probabilità» proposto e fatto proprio dalla Commissione Parlamentare d’Inchiesta istituita con Delibera del Senato dell’11 ottobre 2006, le malattie emolinfopoietiche appaiono essere compatibili con l’esposizione del personale militare inviato nei Balcani agli inquinanti chimici e radiologici presenti nell’ambiente, già teatro di guerra; inquinanti che avrebbero agevolmente generato, attraverso radiazioni assorbite con contaminazione interna, la comparsa di tali morbilità. Il mancato utilizzo di nessuna protezione e nessuna particolare precauzione va a confermare tale ipotesi, tanto più che si usufruiva e veniva comunemente utilizzata l’acqua del posto per la pulizia della persona e del vestiario, delle cose, delle infrastrutture ed immobili, e per la preparazione del cibo” (coerente con Consiglio di Stato, sentenza n. 5816/2021), ribadito dalla relazione finale della Commissione Parlamentare d’Inchiesta della Camera dei Deputati del 07.02.2018, da cui non si può prescindere.

Esposizione nella Guerra in Bosnia, Kosovo e altre missioni

La probabile connessione tra l’esposizione all’uranio impoverito e l’insorgenza di gravi patologie, anche di natura oncologica, ha indotto l’ONU a vietare l’utilizzo di armi contenenti tale elemento (risoluzione n. 1996/16) e diversi Paesi hanno assunto misure di protezione e di precauzione a favore dei militari impiegati nelle operazioni NATO. Va, quindi, riconosciuta la responsabilità del Ministero della Difesa, secondo la fattispecie astratta dell’art. 2087 c.c., nel caso di contrazione da parte del militare impegnato in missioni ad alto rischio della patologia ematoncologica classificata come Linfoma di Hodgkin, a causa dell’assenza di dispositivi di protezione personale ed informazioni sull’utilizzo di armamenti e proiettili ad uranio impoverito” (T.A.R. Aosta, sez. I, 20/09/2017, n. 56).

Guerra in Bosnia e Kosovo: Commissione d’Inchiesta

Nei lavori della Commissione Parlamentare d’Inchiesta, e in particolare nell’audizione del 06.12.2017, l’Avv. Ezio Bonanni ha depositato agli atti della Commissione, Consiglio di Stato 837/2016, che afferma il principio dell’onere della prova di escludere il nesso causale, a carico dell’amministrazione, riferito all’esposizione a radiazioni e nanoparticelle dovuto all’uso di proiettili all’uranio impoverito e alla pratica vaccinale.

La Relazione finale della Commissione Parlamentare d’Inchiesta della Camera dei Deputati ha confermato la condizione di rischio per i nostri militari dell’Esercito, in particolare per quelli inviati in missione in Kosovo e nella Guerra in Bosnia. Tutto è confermato dall’Avv. Bonanni nell’audizione presso la Commissione Uranio Impoverito.

ONA e la tutela legale dei militari della Guerra in Bosnia

L’Osservatorio Nazionale Amianto, di cui l’Avvocato Ezio Bonnani è presidente, ha istituito il Dipartimento Vittime del Dovere e il Dipartimento di tutela delle vittime dell’uranio impoverito e dei vaccini contaminati. Il coordinatore di questo nuovo dipartimento dell’ONA è Lorenzo Motta.

L’Avv. Ezio Bonanni, durante l’audizione del 06.12.2017, come già detto, è stato ascoltato dalla Commissione Parlamentare d’Inchiesta. Le risultanze della relazione sono decisive per la tutela dei diritti dei militari.

L’ONA continua il suo sforzo perché non esistano più vittime del dovere e offre assistenza legale a tutti i militari che abbiano contratto un’infermità temporanea o permanente nell’esercizio della loro professione, comprese le esercitazioni. Il risarcimento danni e i benefici maturati in vita dalla vittima spettano ai familiari in caso di decesso. La Cass. Sez. Lav. 19623/2022 ha affermato la risarcibilità del danno morale anche in caso di insussistenza di malattia. Si tratta infatti di un danno morale che riguarda anche i familiari di coloro che sono stati esposti.

Per chiedere una consulenza gratuita si può chiamare il numero verde 800.034.294 o compilare il form.

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