Il danno non patrimoniale è un danno, diretta conseguenza di un illecito, che causa sofferenza psico-fisica alla persona. Non va quindi a ledere la sfera patrimoniale dell’individuo come nel caso del pregiudizio patrimoniale. In questa guida andremo a scoprire cosa è precisamente il danno non patrimoniale, quali sono le principali tipologie e quando si configurano. Le vittime di un illecito che hanno subito un danno non patrimoniale hanno diritto al risarcimento.

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In cosa consiste il danno patrimoniale?

Il danno non patrimoniale è un pregiudizio che ricade su un valore o interesse della persona, immateriale e non direttamente monetizzabile. Questo valore deve essere costituzionalmente garantito, come la libertà, la salute, la riservatezza e la famiglia. È sempre legittima la richiesta di risarcimento dei danni quando questi diritti vengono lesi o compromessi. In altre parole questo tipo di danno può essere definito come la lesione di un interesse protetto dall’ordinamento e avente a oggetto utilità per le quali non sussiste un mercato.

Perciò un danno non patrimoniale diventa risarcibile quando:

  • deriva da un fatto illecito integrante gli estremi di un reato (art. 185 c.p.);
  • è espressamente previsto dalla legge (per esempio nei casi previsti da art. 89 c.p.c., legge 89/2001, d.lgs 209/2005, legge 633/1941);
  • è stato leso un diritto della persona costituzionalmente garantito (art. 2059 c.c.).

Inoltre un danno è considerato giuridicamente rilevante quando si verifica la lesione di un interesse a un bene della vita, cioè un bene che arreca un’utilità atta a soddisfare un bisogno. Inoltre vale anche quando la lesione dell’interesse giuridicamente protetto determina una perdita apprezzabile o il mancato conseguimento dell’utilità attesa o goduta.

Danno non patrimoniale e risarcimento

Il risarcimento del danno è un istituto giuridico garantito dal Codice Civile, che all’articolo 2043 recita come segue: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

In altre parole il risarcimento è un compenso economico che viene riconosciuto a chi subisce un danno in seguito a un atto illecito. Questo illecito può essere a sua volta di diverse tipologie. Distinguiamo:

  • illecito contrattuale, che si verifica quando non vengono rispettati i termini di un contratto precedentemente sottoscritto;
  • illecito extracontrattuale, che si verifica quando l’atto illecito avviene al di fuori di un contratto, ma semplicemente nell’ambito della convivenza civile.

Esiste anche la responsabilità extracontrattuale, che lede le norme che disciplinano le trattative per la stipula di un contratto.

Per l’obbligo del risarcimento del danno è necessario che ci sia un nesso causale tra la condotta illecita e il danno provocato. Deve essere quindi dimostrabile che il danno subito è diretta conseguenza dell’illecito. A seconda della responsabilità lesa (contrattuale o extracontrattuale) cambia l’onere della prova.

Differenza tra danno patrimoniale e non patrimoniale

Come già accennato esiste una netta differenza tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale. Il danno patrimoniale è un danno economico subito da una persona in seguito a una condotta illecita di un altro soggetto. Questo danno va a discapito di un bene economico di proprietà di questa persona, che possiede un valore economico ben preciso e quantificabile.

Il danno non patrimoniale invece non riguarda un bene di cui si dispone, ma un diritto garantito dalla legge, che in questo caso viene leso. Non trattandosi di un bene, quantificare il valore economico del danno da risarcire è più complesso.

Differenza tra risarcimento e indennizzo

Il risarcimento del danno è un compenso economico dovuto in caso di condotte illecite ai danni della vittima. L’indennizzo invece viene a configurarsi al di fuori di comportamenti che infraggano le leggi civile.

Risulta essere differente anche lo scopo. L’indennizzo infatti ha lo scopo di riparare un danno, ma non necessariamente in modo commisurato al pregiudizio. Il risarcimento invece ha la funzione di ripristinare la situazione precedente al danno.

Il risarcimento del danno non patrimoniale

Nella generalità dei casi, il danno non patrimoniale si configura nella sofferenza psico-fisica della vittima, direttamente causata dall’atto illecito. Questa sofferenza può comprendere angoscia, ansia, o dolore fisico. Il danno non patrimoniale è una categoria estremamente ampia. Per comprendere meglio riportiamo la sentenza n. 9283/2014 della Corte di Cassazione che ne sintetizza il significato:

La categoria del danno non patrimoniale attiene ad ipotesi di lesione di interessi inerenti alla persona, non connotati da rilevanza economica o da valore scambio ed aventi natura composita, articolandosi in una serie di aspetti (o voci) con funzione meramente descrittiva (danno alla vita di relazione, danno esistenziale, danno biologico e danno morale, ecc.); ove essi ricorrano cumulativamente occorre, quindi, tenerne conto, in sede di liquidazione del danno, in modo unitario, al fine di evitare duplicazioni risarcitorie, fermo restando, l’obbligo del giudice di considerare tutte le peculiari modalità nel singolo caso, mediante la personalizzazione della liquidazione danno non patrimoniale” (Cass. n. 21716/2013; n. 1361/2014; S.U. n. 26972/2008).

In base ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., infatti il danno non patrimoniale comprende non il solo il danno morale soggettivo, ma anche la lesione ingiusta di un valore che interessa la persona. C’è da aggiungere che la lesione dell’interesse deve superare una certa soglia di tollerabilità. In più il danno non deve essere futile, cioè consistente in un semplice disagio o fastidio (Cass. n. 26972/2008; n. 4053/2009). Il risarcimento del danno si configura non solo nei casi che sono espressamente previsti dalla legge ordinaria, ma anche dove vengono lesi diritti costituzionali cui va riconosciuta la tutela minima risarcitoria (Cass. n. 15022/2005).

Accertamento del danno e onere della prova

L’accertamento del danno non patrimoniale prevede necessariamente che sia provata l’esistenza della lesione dell’interesse giuridicamente protetto e la perdita che ne è derivata.

Perciò il danneggiato deve dimostrare l’esistenza del danno, le sue caratteristiche e la sua entità. Tale onere probatorio può essere assolto facendo ricorso a tutti i consueti mezzi di prova previsti dall’ordinamento (documenti, prova testimoniale, confessione, giuramento, presunzioni, C.T.U.). Inoltre la vittima, nel formulare la richiesta risarcitoria, dovrà descrivere necessariamente:

  • condotta che ha determinato la lesione dell’interesse giuridicamente protetto;
  • perdita di tutte le utilità e le rinunce e le sofferenze che sono derivate dalla lesione dell’interesse protetto;
  • valore del risarcimento o i criteri di liquidazione invocati per la monetizzazione del pregiudizio non patrimoniale.

L’unitarietà del risarcimento danno non patrimoniale

La categoria del danno non patrimoniale è unitaria. Tuttavia esistono più forme di manifestazione e diverse componenti che la costituiscono.

Infatti il pregiudizio non patrimoniale può concretarsi in vari ambiti dell’esistenza umana ed esplicarsi nella perdita di varie utilità attese o godute. Seppur ci sia una pluralità di manifestazione di questo danno, ciò non incide sull’essenza ontologica e sull’unitarietà della categoria.

Le sentenze gemelle della Suprema Corte a Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975), hanno chiarito definitivamente quali sono le voci risarcibili di cui è possibile chiedere il ristoro in caso di danno alla persona.

La categoria del danno non patrimoniale attiene a ipotesi di lesione di interessi inerenti alla persona, non connotati da rilevanza economica o da valore scambio ed aventi natura composita, articolandosi in una serie di aspetti (o voci) con funzione meramente descrittiva (danno alla vita di relazione, danno esistenziale, danno biologico, ecc.)”.

Inoltre un altro aspetto importante che viene ribadito è: “ove essi ricorrano cumulativamente occorre tenerne conto, in sede di liquidazione del danno, in modo unitario, al fine di evitare duplicazioni risarcitorie, fermo restando, l’obbligo del giudice di considerare tutte le peculiari modalità di atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, mediante la personalizzazione della liquidazione danno non patrimoniale”.

La giurisprudenza: Cassazione, Sezione Lavoro, 35228/2022

Recentemente la Corte di Cassazione, nella sentenza 35228/ 2022, ha riconosciuto i diritti degli eredi di Aldo Converso, tecnico aeronautico nelle aziende Ati e Atitec, deceduto per un mesotelioma causato dall’esposizione ad asbesto. Ha ribadito come l’INAIL risarcisca solo una parte del danno, mentre la vittima e i loro familiari hanno diritto all’integrale ristoro dei danni: “in caso di morte si può parlare di danno biologico terminale o di danno morale terminale o danno catastrofale, trasmissibile iure hereditatis, non viene in rilievo la tutela garantita dall’INAIL“.

Tipologie di danno non patrimoniale

Come già accennato, il danno non patrimoniale comprende una categoria molto ampia, al cui interno vengono definite diverse sottocategorie. Tra queste ci sono:

  • Danno biologico, lesione al bene salute;
  • esistenziale, detto anche danno alla vita di relazione, che consiste nell’alterazione delle abitudini e degli assetti relazionali propri dell’individuo all’interno e all’esterno del nucleo familiare;
  • Danno morale, ossia la perturbatio dell’animo e la sofferenza interiore patita;
  • da perdita del rapporto parentale, inteso come privazione del rapporto affettivo con il congiunto in cui viene meno un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione e sulla quotidianità dei rapporti;
  • estetico, cioè la compromissione dell’aspetto esteriore.

Esistono poi il danno catastrofale e il danno tanatologico che, però, non è universalmente accettato tra i danni risarcibili. In particolare il pregiudizio catastrofale rappresenta la sofferenza patita dal defunto prima di morire, a causa delle lesioni fisiche derivanti da un’azione illecita compiuta da terzi. Sussiste questo danno solo nel caso in cui non ci sia un apprezzabile lasso di tempo tra la lesione e la morte della vittima. In questo modo si può presumere che il decesso sia esclusivamente effetto della lesione subita.

Il risarcimento del danno biologico

Il danno biologico è quello che si verifica quando la vittima subisce un’infermità temporanea o permanente all’integrità psico-fisica. Si tratta quindi di un vero e proprio danno alla persona, e in particolare una lesione della sua salute e integrità fisica. La lesione al bene salute, tutelato dagli artt. 2 e 32 della Costituzione.

Riportiamo la definizione di danno biologico che si trova nel comma 2 dell’art 139 del Codice delle assicurazioni private (modificato dal disegno di legge n. 2085/2015):

la lesione temporanea o permanente all’integrità psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico legale, che esplica un’incidenza relativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito.”

Calcolo del risarcimento del danno biologico

Come si calcola l’ammontare del risarcimento per danno biologico? Il primo criterio da applicare è quello della gravità delle lesioni. Nel caso in cui si sia in presenza di macrolesioni superiori al 9%, la liquidazione viene calcolata ricorrendo ai riferimenti stabiliti dalle tabelle del Tribunale di Milano, che puntano a garantire un calcolo del danno su base equativa.

Nel rispetto del principio di personalizzazione del danno non patrimoniale, la recente Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 7766 del 20.04.2016 ha previsto che, in caso di lesioni riportate in conseguenza di un sinistro stradale, il risarcimento del danno biologico può essere aumentato nella misura del 30% rispetto a quanto contemplato dagli standard.

Il danno esistenziale: definizione e risarcimento

Quando siamo in presenza di un danno che intacca non solo la salute, ma anche la qualità della vita, si parla di danno esistenziale. Questo viene chiamato anche danno alla vita di relazione e ai valori dell’esistenza della vittima. Mentre il danno morale è afferente alla vita interiore del danneggiato, il danno esistenziale è tangibile e percepibile dall’esterno. Il peggioramento delle condizioni di vita infatti impedisce in genere di svolgere le abituali occupazioni.

La sentenza n. 336 del 13.01.2016 della Cassazione nega l’autonomia risarcitoria del danno esistenziale: “Non è ammissibile nel nostro ordinamento l’autonoma categoria del “danno esistenziale” inteso quale pregiudizio alle attività non remunerative della persona, atteso che: ove in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell’art. 2059 c.c., interpretato in modo conforme a Costituzione, con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria, ove nel danno esistenziale si intendesse includere pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, tale categoria sarebbe del tutto illegittima, posto che simili pregiudizi sono irrisarcibili, in virtù del divieto di cui all’art. 2059 c.c.” (Cass. 11 novembre 2008 n. 26972).

Come si calcola il danno esistenziale

Abbiamo visto che il danno esistenziale va a compromettere il normale svolgimento della vita del danneggiato. Tuttavia “quantificare” il danno risulta il più complesso, perché l’entità del danno non può essere verificata con una perizia medico-legale.

La vittima del danno esistenziale ha quindi l’onere della prova, e deve dimostrare in modo tangibile e accertabile il danno subito. In seconda battuta sta al giudice valutare, caso per caso, l’esistenza e l’entità del danno esistenziale. In base a questa valutazione potrà procedere a calcolare i danni non patrimoniali e l’ammontare del risarcimento.

La Cassazione, nella sentenza n.7513 del 2018, ha confermato che il danno non patrimoniale, anche se non correlato a un danneggiamento della salute, va comunque risarcito se va a ledere diritti garantiti dalla Costituzione,  solo a seguito di attenta ed approfondita istruttoria. In altre parole: se viene accertato il danno esistenziale, deve essere risarcito anche se non siamo in presenza contestualmente di un danno biologico.

Riconoscimento del risarcimento del danno morale

Con l’espressione “danno morale” ci si riferisce alla sofferenza interiore e soggettiva esperita da un singolo in seguito a un atto illecito commesso nei suoi confronti. Il danno morale viene sancito nell’art 2059 del codice civile, e rientra nella macro categoria dei danni non patrimoniali

Un tempo il danno morale si riconosceva solo a chi era vittima di un illecito penale, ma negli anni la Cassazione si è orientata sempre più alla rottura di questo vincolo, estendendo la possibilità di ottenere risarcimento anche nel campo della responsabilità civile.

Previsto dall’art. 2059 c.c. il danno morale veniva un tempo riconosciuto solo in favore di soggetti vittime di un illecito penale. La Cassazione nel tempo lo ha liberato da questo vincolo e ne ha esteso la risarcibilità alla sfera della responsabilità civile.

Come si può calcolare il danno morale?

Per calcolare il danno morale bisogna valutare come prima cosa se questo sia connesso o meno a un danno biologico. Generalmente è sufficiente che il danno biologico sia superiore al 3% per far sì che venga risarcito in automatico anche il danno morale.

Quando invece la salute del soggetto non è stata intaccata, questo deve fornire una prova concreta che dimostri i danni morali subiti. Ma come si quantifica il risarcimento per un danno morale? Solitamente il magistrato si serve del criterio dell'”equità”. Vale a dire che sta al suo giudizio stabilire una somma che egli ritenga adeguata al casa specifico.

Per quanto riguarda invece la personalizzazione del danno, si fa riferimento alla sentenza della Cassazione Civile, Sez. III, n. 5691 del 23 marzo del 2016. Questa sentenza stabilisce che la quantificazione dei danni morali in una frazione del biologico non ne esclude una misurazione superiore a quanto stabilito dalle Tabelle del Tribunale di Milano.

La già citata sentenza della Cass. Sez. Lav. 19623/2022 ha affermato la risarcibilità di questo danno anche in caso di insussistenza di malattia. Si tratta infatti di un danno morale che riguarda anche i familiari di coloro che sono stati esposti.

Il danno tanatologico: definizione e risarcimento

dolore malattia e risarcimento danni

Con l’espressione danno tanatologico si identificano le sofferenze patite dalla vittima di un atto illecito prima del decesso, causato in maniera diretta dall’illecito stesso. Sul riconoscimento di questo tipo di danno è ancora aperto il dibattito, tanto che il danno tanatologico non è sempre considerato risarcibile

Il danno tanatologico si differenza dal danno biologico puro perché in questo caso a essere danneggiata non è la salute, ma la vita vera e propria. Inoltre il danno tanatologico si configura solo quando il decesso avviene in un lasso di tempo molto breve tra decesso stesso e momento della lesione. Questo perché la morte deve essere chiaramente la conseguenza diretta della lesione.

Come si calcola il danno tanatologico

Al momento non c’è un riferimento normativo univoco che riconosca in maniera adeguata il danno tanatologico in sé e la sua facoltà di essere risarcibile. Inoltre nel tempo si sono susseguite sentenze tra di loro discordanti.

Possiamo in conclusione affermare che l’orientamento più comune è quello di negare addirittura il riconoscimento del danno tanatologico, in quanto il diritto stesso non è trasmissibile agli eredi. Quindi, essendo deceduto il titolare del diritto leso, verrebbe a mancare anche il beneficiario del risarcimento.

Il criterio delle tabelle del Tribunale di Milano

Le tabelle del Tribunale di Milano sono un documento para-normativo (Cass. n. 12408/2011) che serve a calcolare il valore economico del risarcimento danni. Si tratta di un documento che riporta i valori medi degli importi liquidati dal Tribunale di Milano, valori che servono da riferimento per stabilire l’importo della liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, con adeguamenti basati sulle peculiarità del singolo caso.

I parametri delle tabelle prendono in considerazione l’età della vittima e la percentuale di grado invalidante riconosciuto. L’ammontare della somma da risarcire viene calcolata sempre su base equitativa, con personalizzazione del danno non patrimoniale (artt. 1226 e 2056 c.c.).

Liquidazione equitativa del risarcimento

Le liquidazioni devono avvenire in via equitativa (art. 1226 c.c.) e devono:

  • essere integrali, cioè rappresentare un’effettiva riparazione di tutte le utilità perdute dalla vittima, evitando, però, duplicazioni risarcitorie attraverso la liquidazione di più importi a titolo di risarcimento di pregiudizi nominalmente diversi, ma sostanzialmente identici;
  • garantire uniformità di trattamento a parità di conseguenze lesive;
  • dare rilievo alle peculiarità del caso concreto, affinché siano adeguatamente valorizzate nella monetizzazione del risarcimento del danno non patrimoniale.

Infatti, tanto più l’evento ha inciso in modo significativo sulla sofferenza, tanto più la somma risarcitoria può essere aumentata attraverso la personalizzazione (Cassazione Civile, Sez. III, sentenza 5691/2016).

Per il calcolo del danno non patrimoniale, in particolare per quanto riguarda il danno morale, si sono espresse le sentenze gemelle di San Martino. Hanno stabilito che il pregiudizio morale sia incluso nella quantificazione prevista per il danno biologico dalle Tabelle del Tribunale di Milano, con la possibilità di personalizzarne il valore percentualmente considerando il caso concreto. La stessa procedura si applica anche al danno esistenziale.

Risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio

A fronte della morte o di una gravissima menomazione dell’integrità psicofisica di un soggetto, causata da un fatto illecito di un terzo, il nostro ordinamento riconosce ai parenti del danneggiato un danno iure proprio, di carattere patrimoniale e non patrimoniale, per la sofferenza patita in conseguenza all’irreversibile venir meno del godimento del rapporto parentale con il congiunto.

Tale voce risarcitoria intende ristorare il familiare dal pregiudizio subìto sotto il duplice profilo morale, consistente nella sofferenza psichica che questi è costretto a sopportare a causa dell’impossibilità di proseguire il proprio rapporto di comunanza familiare, e dinamico-relazionale, quale sconvolgimento di vita destinato ad accompagnare l’intera esistenza del soggetto che l’ha subita.

Spetta alla vittima dell’illecito altrui dimostrare i fatti costitutivi della propria pretesa e, dunque, l’esistenza del pregiudizio subìto: onere di allegazione che in alcuni casi potrà essere soddisfatto anche ricorrendo a presunzioni semplici e massime di comune esperienza.

Nel caso di morte di un prossimo congiunto (coniuge, genitore, figlio, fratello), è orientamento unanime della Suprema Corte che l’esistenza stessa del rapporto di parentela faccia presumere, secondo l’id quod plerumque accidit, la sofferenza del familiare superstite, giacché tale conseguenza è per comune esperienza e, di norma, connaturale all’essere umano. Naturalmente, trattandosi di una praesumptio hominis sarà sempre possibile per il convenuto dedurre e provare l’esistenza di circostanze concrete dimostrative dell’assenza di un legame affettivo tra vittima e superstite (Cass. civ. sez. VI – 3 n. 3767 del 15 febbraio 2018).

La qualità del legame può essere soggetta a una prova

La determinazione equitativa del danno, al fine di consentirne una personalizzazione, prevede che il danneggiato fornisca la prova di circostanze concrete che consentano di aumentare il valore tabellare rilevante ai fini della quantificazione del danno. Eventuali correttivi infatti saranno ammissibili in ragione della particolarità della situazione di cui sia stata fornita adeguata motivazione.

La Cassazione SS.UU. sentenza 15350 del 22 luglio 2015, ribadisce il principio di diritto della risarcibilità di tutti i danni sofferti anche dai familiari, sia per le “perdite di natura patrimoniale o non patrimoniale che dalla morte possono derivare ai congiunti della vittima, in quanto tali e non in quanto eredi (Corte cost. n. 372 del 1994; Cass. n. 4991 del 1996; n. 1704 del 1997; n. 3592 del 1997; n. 5136 del 1998; n. 6404 del 1998; n. 12083 del 1998, n. 491 del 1999, n. 2134 del 2000; n. 517 del 2006, n. 6946 del 2007, n. 12253 del 2007)”, sulla base delle norme di cui agli artt. 29, 30 e 31 Cost. (Sentenze n. 8827 ed 8828 del 2003 e ribaditi dalle SS.UU. prima con la Sentenza 6572 del 2006, e poi con la Sentenza 26972 del 2008, che vi fa esplicito riferimento).

Tutela dei diritti e risarcimento danni: consulenza ONA

L’ONA tutela le vittime di agenti cancerogeni e i loro familiari per la difesa dei loro diritti. È possibile richiedere maggiori informazioni e una consulenza gratuita chiamando il numero verde 800.034.294 o compilando il form.

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