In questa guida parliamo della Guerra in Somalia e dei gravi danni alla salute causati dalle armi all’uranio impoverito ai nostri militari in missione.

L’inalazione e l’assorbimento di nanoparticelle di metalli pesanti, prodotte dalla combustione ad altissima temperatura dei bersagli metallici colpiti dai proiettili all’uranio impoverito causa infatti diverse malattie, tra cui tumori del sistema emolinfopoietico e Sindrome della Sensibilità Chimica Multipla (MSC).

La legge prevede lo status di vittime del dovere per coloro che hanno contratto malattie nell’esercizio della loro professione, e ciò comporta una serie di benefici di cui tratteremo in seguito in modo dettagliato.

L’Osservatorio Nazionale Amianto (ONA) e il suo Presidente, l’Avvocato Ezio Bonanni, si sono impegnati per decenni nell’assistenza legale di numerosi militari dell’Esercito e della Marina Militare Italiana che hanno contratto malattie a causa dell’utilizzo di uranio impoverito e l’esposizione ai metalli pesanti. Gli effetti del metallo sono spesso stati acutizzati da errate procedure vaccinali.

In alcuni casi, le questioni legali sono ancora in corso. Tuttavia, l’impegno dell’ONA non si limita alla tutela legale, ma continua nell’informazione e nella sensibilizzazione attraverso convegni e articoli riguardanti questa problematica delicata che coinvolge lo Stato.

In Somalia, come in altri teatri di guerra è stato fatto impiego di armi all’uranio impoverito senza che il personale militare ne fosse informato.

Guerra in Somalia: gli elementi salienti

La guerra in Somalia è un’opposizione armata, iniziata nel 2006 e tuttora in corso. Vede contrapposti il governo federale di transizione somalo e l’Etiopia contro un gruppo islamico chiamato l’Unione delle corti islamiche (UCI) e altre milizie affini per il dominio del paese.

La guerra ebbe inizio ufficialmente il 20 luglio 2006, quando le truppe etiopi, sostenute dagli Stati Uniti, invasero la Somalia per sostenere il governo a Baidoa. Mentre il governo federale di transizione riceveva il sostegno dell’Etiopia e degli Stati Uniti, l’Unione delle Corti islamiche ottenne il supporto dell’Eritrea e finanziamenti da reti del fondamentalismo islamico come Al-Qaida.

Di conseguenza, l’Unione delle corti islamiche dichiarò lo stato di guerra e sollecitò tutti i somali a partecipare alla lotta contro l’Etiopia. Dopo il ritiro delle truppe etiopiche nel 2009 e l’elezione di Sharif Sheikh Ahmed come presidente, la guerra in Somalia continua ancora oggi, seppur limitata a sporadici conflitti tra diverse fazioni e gruppi islamici ancora attivi in Somalia.

L’Unione delle Corti islamiche ottenne il controllo di Mogadiscio nel giugno 2006, cacciando la coalizione ARPCT dalle zone circostanti e riuscendo a persuadere altri signori della guerra a unirsi alla loro fazione, prendendo il controllo del centro-sud della Somalia, dalla regione meridionale del Giubaland fino alle frontiere di Puntland, Mudugh e Galgudud, che si unirono nello Stato di Galmudugh, alleato del governo federale di transizione.

Gli antefatti della Guerra in Somalia: quali sono?

La Somalia ha vissuto un periodo di costante instabilità fin dalle rivolte del 1986 che portarono alla caduta del dittatore Siad Barre nel 1991.

Dopo il crollo del regime, lo Stato somalo collassò e l’esercito si frammentò in varie armate indipendenti basate sulle appartenenze claniche, che combatterono tra loro e con i principali gruppi ribelli, dando luogo a una sanguinosa guerra civile che causò centinaia di migliaia di morti.

Il conflitto trovò una parziale soluzione con la formazione di un governo transitorio nel 2000, seguito da nuovi scontri e dalla creazione di un governo federale di transizione nel 2004, guidato dal presidente Abdullahi Yusuf Ahmed.

Mentre le nuove istituzioni transitorie si stabilivano a Baidoa nel 2005, la ricostituzione dell’esercito somalo, inesistente dal 1991, fu resa possibile grazie al supporto dell’Etiopia e degli Stati Uniti.

Tuttavia, con decenni di assenza dello Stato e di istituzioni forti sul territorio, l’amministrazione locale fu assunta dai tribunali islamici, che non accettarono facilmente di cedere il potere al nuovo governo di transizione. Le Corti islamiche si unirono nell’Unione delle Corti islamiche e occuparono Mogadiscio nel giugno 2006, opposti all’insediamento del governo di transizione nella capitale.

Le armi usate nella guerra in Somalia

La NATO ha dichiarato di aver fatto uso di bombe all’uranio impoverito in Bosnia, nei raid del 1994 e del 1995, e in Kosovo nel 1999. Infine l’uranio impoverito trova largo utilizzo anche nella seconda guerra del Golfo in Iraq, nella guerra in Somalia e in larghissima parte in Afghanistan.

I soldati italiani hanno operato senza norme di protezione in Somalia e inconsapevoli dell’utilizzo delle suddette armi.

I militari italiani nella guerra in Somalia: le principali missioni

I militari italiani sono tuttoggi impegnati nella guerra in Somalia attraverso diverse missioni he elenchiamo di seguito. L’operazione Eutm Somalia (European Training Mission) è stata istituita il 7 Aprile 2010 per sostenere il Governo federale di transizione somalo. Il personale europeo fornisce assistenza logistica e amministrativa alla polizia somala attraverso l’addestramento presso il campo di Bihanga, in Uganda. La missione si occupa anche della sicurezza dei propri contingenti. Il personale coinvolto è composto da 203 unità, con un budget annuo di 11.4 milioni di euro. L’Italia contribuisce con 123 militari e 20 mezzi terrestri. Dal 2014, l’Italia detiene il comando della missione, guidata dal Generale di Brigata Antonello de Sio dall’8 agosto 2019.

L’operazione Eu Navfor Somalia (European Naval Force) – operazione Atlanta – nell’ambito della Guerra in Somalia è una missione europea volta a contrastare la pirateria. La missione è nata nel 2008 in risposta agli attacchi ripetuti dei pirati somali contro le navi del World Food Programme (Wfp) dell’Onu. Eu Navfor collabora con altre missioni europee e con il Cmf (Combined Maintenance Force), un insieme di forze internazionali che contribuiscono alla sicurezza nell’Oceano Indiano. Anche in questa missione, l’Italia fornisce il contingente più numeroso, con 407 militari su circa 600, e contribuisce con due mezzi aerei e due mezzi navali. Dal 23 luglio 2019, la fregata europea multi missione Marceglia ha assunto il ruolo di nave ammiraglia della task force.

Tutte le missioni in cui è impegnata l’Italia in Somalia

La terza missione europea in cui l’Italia è impegnata nella guerra in Somalia è Eucap Nestor, con tre militari. Questa missione è focalizzata sul capacity building e sulla sicurezza dei porti di Mogadiscio, Kismayo, Berbera e Bosaso.

Miadit 12 è una missione nell’ambito della guerra in Somalia nata da un accordo trilaterale tra Italia, Somalia e Gibuti. L’obiettivo è rafforzare l’apparato di sicurezza somalo attraverso l’addestramento delle forze di polizia somale e gibutiane. L’addestramento avviene nel territorio di Gibuti, sfruttando la presenza della Base militare italiana.

L’Italia, come gli altri attori presenti nella regione, è interessata a garantire la sicurezza del transito delle navi nel Golfo di Aden, in quanto il 60% del commercio mondiale via nave transita attraverso lo stretto di Bab el-Mandeb.

Uranio impoverito: quali effetti causa sulla salute?

L’Uranio Impoverito (UI) è un residuo del processo di arricchimento dell’Uranio, in cui l’Uranio-235 (U235) viene ridotto di due terzi del suo contenuto originale di Uranio naturale. La sua alta densità (19 g/cm3) lo rende un materiale efficace per perforare le corazzature.

Le proprietà chimiche e metalliche dell’UI sono del tutto simili a quelle dell’Uranio naturale, portando a rischi analoghi per quanto riguarda la tossicità chimica e radiologica. La Commissione di Regolamentazione Nucleare degli Stati Uniti classifica questo materiale come utilizzabile solo con specifiche autorizzazioni generali.

L’autorizzazione generale consente l’uso e il trasporto di UI in quantità fino a 15 libbre (6,8 kg) alla volta, con un limite massimo di 150 libbre all’anno (68 kg). Per ottenere autorizzazioni specifiche, è necessario fornire una documentazione scritta sull’uso previsto del materiale, le misure di sicurezza e salute, e la preparazione del personale.

Per maggiori approfondimenti, puoi consultare il documento “Alcune Tesi e Fatti sull’Uranio Impoverito (DU), sul suo Uso nei Balcani, sulle Conseguenze sulla Salute di Militari e Popolazione” del Comitato Scienziate e Scienziati contro la Guerra.

Uranio impoverito: gli impatti sulla salute

effetti metalli pesanti

Quando un proiettile di uranio impoverito colpisce un bersaglio come un bunker o un carro armato, si verifica un’esplosione ad alta temperatura che rilascia nell’ambiente nanoparticelle di metalli pesanti. Tra questi, il piombo è stato classificato dall’IARC come possibile cancerogeno per l’uomo, con comprovata tossicità in grado di causare gravi danni biologici, indipendentemente dalla sua capacità cancerogena. L’inalazione di uranio impoverito può causare il deposito del metallo radioattivo nei polmoni e in altri organi, portando a diversi tipi di cancro.

Nei paesi maggiormente colpiti dall’utilizzo di uranio impoverito, si sono verificati numerosi casi di malattie del sistema ematopoietico e gastrointestinale, sia tra i militari che tra i civili. Queste malattie sono comunemente note come “Sindrome dei Balcani”, come accennato in precedenza nell’introduzione di questa guida. Puoi trovare ulteriori informazioni sugli effetti sulla salute dell’Uranio Impoverito nel documento “Depleted Uranium. Sources, Exposures and Health Effects” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

L’epidemia di malattie tra coloro che hanno partecipato alle missioni di peacekeeping nei Balcani ha colpito oltre 7.500 militari italiani, con circa 400 morti. Tra le patologie più comuni che hanno colpito gli esposti ci sono danni renali, cancro ai polmoni, tumore alle ossa, carcinoma esofageo, problemi cutanei, disturbi neurocognitivi, anomalie cromosomiche, sindromi da immunodeficienza, malattie renali e intestinali rare, malformazioni genetiche nei nascituri, linfomi di Hodgkin e leucemie.

I dettagli sugli impatti sulla salute

Nel caso di contaminazione interna, i composti solubili (uranili, UVI) possono causare danni chimici ai tubuli convoluti prossimali dei reni, portando a ematuria, albuminuria, formazione di masse ialine e granulari all’interno delle cavità, azotemia e necrosi tubulare.

I composti meno solubili (uranosi, UIV) possono essere trattenuti principalmente nei polmoni in caso di inalazione o accumularsi nelle ossa durante la fase di mineralizzazione. Questi composti possono inibire il metabolismo dei carboidrati attraverso l’ATP-uranil-esochinasi, bloccando il trasferimento di fosfati al glucosio e inibendo la prima fase dell’utilizzo metabolico dello zucchero.

L’alta specificità degli isotopi dell’Uranio per gli organi bersaglio, combinata con una lunga emivita e radiazione corpuscolare, causa danni chimici e radiologici a organi come i polmoni, i reni e le ossa, causando alterazioni somatiche e genetiche che possono portare al cancro.

Le radiazioni alfa degli isotopi dell’Uranio contenuti nell’UI non rappresentano un rischio esterno significativo, mentre le radiazioni beta da 2,29 MeV (234 Pa) hanno un raggio d’azione di 0,5 cm in alluminio e di diversi centimetri nel tessuto umano, portando a un’esposizione di 217 a 20,4 mR/h. Le radiazioni gamma sono il principale tipo di radiazione emessa dalle munizioni con UI.

La contaminazione del corpo con UI costituisce un rischio sia chimico che fisico se l’Uranio entra nell’organismo attraverso la pelle, la bocca o i polmoni, oppure attraverso ferite o ustioni. L’ossido di Uranio trattenuto nei polmoni può causare lesioni neoplastiche come il carcinoma epidermoide.

Col. Calcagni: contaminato da uranio e metalli pesanti

vittime del dovere-causa di servizio

Durante la quinta puntata di ONA TV, il Colonnello Carlo Calcagni, elicotterista impegnato nei Balcani e in particolare nella Bosnia Erzegovina, ha condiviso la sua esperienza di essere stato contaminato da Uranio Impoverito e da 28 metalli pesanti, subendo ben 24 patologie, tra cui la sindrome da Sensibilità Chimica Multipla. Ha raccontato di aver subito oltre 300 punti di sutura e di dover affrontare quotidianamente terapie, tra cui dialisi e l’assunzione di circa 300 medicinali al giorno. Tra questi, oltre 75 sostanze chimiche agiscono come un antidoto, permettendogli di essere esposto a sostanze chimiche senza reazioni in individui non contaminati.

Il difficile riconoscimento da parte delle istituzioni

Il Colonnello Calcagni è intervenuto anche al convegno dell’ONA “Guerra e pace: vittime del dovere”, portando avanti una campagna di sensibilizzazione affinché non vi siano più vittime del dovere e affinché le istituzioni prendano sul serio la gravità dei fatti. Come vedremo in seguito, lo status di vittime del dovere e il collegamento causale con l’esposizione a Uranio Impoverito e nanoparticelle di metalli pesanti è di difficile riconoscimento da parte delle amministrazioni.

Un esempio è il caso di Di Vico, deceduto a causa di un tumore professionale e contaminato da amianto, uranio impoverito e nanoparticelle di metalli pesanti in Kosovo e in Albania. Inizialmente, la causa di servizio gli era stata negata, ma solo dopo la sua morte è stato riconosciuto come vittima del dovere e la sua famiglia ha ottenuto un risarcimento per i danni subiti, sia in nome proprio che in nome dell’eredità, per un totale di 600.000 euro. Queste cause legali sono state seguite personalmente dall’Avvocato Ezio Bonanni, come nel caso Di Vico.

Chi sono e quali sono le vittime del dovere?

Le vittime del dovere sono persone che hanno svolto un servizio in attività specifiche, definite nell’articolo 1, comma 563, della Legge 266/2005. Nel corso degli anni, queste tutele sono state estese anche a coloro che hanno partecipato a missioni e a coloro che hanno operato in particolari condizioni ambientali e operative.

In caso di malattia o decesso, viene riconosciuto loro il diritto allo status di vittime del dovere. Questo status si applica a tutti i casi in cui si è verificato:

  • Nel contrasto a qualsiasi tipo di criminalità;
  • Nello svolgimento di servizi di ordine pubblico;
  • Nella vigilanza delle infrastrutture civili e militari;
  • Nelle operazioni di soccorso;
  • Nell’attività di tutela della pubblica incolumità;
  • A causa di azioni in contesti di impiego internazionale, anche senza caratteristiche di ostilità.

Nei casi in cui le lesioni siano avvenute durante il servizio in condizioni di rischio eccezionali, si ha diritto alla totale equiparazione a vittime del dovere. Questo si riferisce a circostanze ambientali e operative fuori dal comune, come l’esposizione a sostanze come amianto, nanoparticelle di metalli pesanti o uranio impoverito.

Tutti i benefici previsti per le vittime del dovere

I benefici previsti per le vittime del dovere includono una speciale elargizione di 200.000 euro (oltre alla rivalutazione monetaria in caso di inidoneità al servizio o invalidità superiore all’80%), un assegno vitalizio mensile di 500 euro (se l’invalidità è pari al 25%), un assegno vitalizio speciale di 1.033 euro mensili (se l’invalidità è pari al 25%), due annualità di pensione per i beneficiari della reversibilità, esenzione dall’Irpef sulle pensioni, assunzione per chiamata diretta con precedenza assoluta rispetto a ogni altra categoria, esenzione dal pagamento del ticket sanitario e accesso alle borse di studio e assistenza psicologica.

Lo status di vittima del dovere è imprescrittibile e viene riconosciuto anche se sono trascorsi più di 10 anni dall’evento lesivo.

Le vittime del dovere includono magistrati, militari dell’Arma dei Carabinieri e del Corpo di finanza, appartenenti alle forze di polizia, al Corpo forestale dello Stato, al Corpo di polizia femminile, ai vigili del fuoco e al personale civile degli istituti di prevenzione e pena, impiegati in attività di ordine pubblico o soccorso.

Totale equiparazione a vittime del terrorismo

È stata riconosciuta anche una totale equiparazione delle vittime del dovere alle vittime del terrorismo per quanto riguarda le prestazioni nei confronti delle vittime, ma alcune questioni riguardanti gli orfani non a carico fiscale sono state oggetto di controversia e devono ancora essere affrontate.

Negli anni, grazie all’impegno dell’Avv. Ezio Bonanni, erano stati raggiunti significativi risultati anche per la tutela degli orfani di vittima del dovere non nel carico fiscale. Ricordiamo importanti pronunce, tra cui quella della Corte di Appello di Genova – sez. Lavoro n. 575/2019, che aveva accolto la domanda di orfana non a carico. Così con riforma della sentenza di primo grado. Tuttavia, in seguito a Cass. Civile Ord. Sez. 6 Num. 15224 del 2021, la questione rimaneva da affrontare, dopo le SS.UU. 22753 del 2018.

Il riconoscimento della causa di servizio per le missioni in Somalia e in particolari condizioni ambientali è di fondamentale importanza per ottenere lo status di vittima del dovere.

Questo status consente di accedere a benefici e risarcimenti per le lesioni subite, ed è supportato da prove scientifiche e valutazioni probabilistiche-statistiche. La presenza di particolari inquinanti e l’assenza di adeguate protezioni confermano l’esistenza di condizioni ambientali e operative rischiose durante queste missioni.

Vittime del dovere e risarcimento completo dei danni

Le vittime e i loro legittimi eredi hanno diritto al pieno rimborso dei danni. Di conseguenza, i danni patrimoniali (danno emergente e lucro cessante) e i danni non patrimoniali subiti (morali, biologici, esistenziali) devono essere completamente risarciti.

Il risarcimento del danno parentale spetta anche a coloro che possono dimostrare un legame affettivo con la vittima, la cui morte comporta un cambiamento significativo della propria esistenza e uno stravolgimento radicale della vita a causa della perdita.

La Cass. Sez. Lav. 19623/2022 ha affermato la risarcibilità del danno morale anche in caso di insussistenza di malattia. Si tratta infatti di un danno morale che riguarda anche i familiari di coloro che sono stati esposti.

Esistono diverse modalità per ottenere il risarcimento dei danni, tra cui:

  • Costituirsi parte civile nel processo penale e richiedere la condanna del Ministero (Difesa, Interno o Economia e Finanze) in solidarietà con gli imputati, per il risarcimento dei danni da reato (lesioni colpose in caso di malattia o omicidio colposo in caso di decesso).
  • Esercitare l’azione civile presso il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) per violazione dell’obbligo di sicurezza in base alla responsabilità contrattuale.
  • Esercitare l’azione civile presso il Tribunale di Roma, richiedendo la condanna del Ministero responsabile, per profili di responsabilità extracontrattuale e civile da reato.

Quantificazione del danno non patrimoniale

Le prestazioni previdenziali e risarcitorie si basano sul grado di invalidità. Sia l’assegno vitalizio speciale che l’assegno vitalizio mensile sono corrisposti solo a coloro che hanno un grado di invalidità non inferiore al 25%.

La quantificazione si basa sul dPR 181 del 2009, non sull’art. 5 d.P.R. n. 243/2006, con gli artt. 5 e 6 I. n. 206/2004.

Questo è un aspetto cruciale poiché il legislatore ha stabilito che l’invalidità rilevante deve includere anche il danno morale subito. Ciò comporta una rivalutazione retroattiva delle prestazioni su richiesta dell’interessato.

Causa di servizio nelle missioni in Somalia

I militari impiegati nelle missioni in Somalia che hanno contratto malattie devono ottenere lo status di vittime del dovere. Per ottenere tale status, è necessario prima di tutto ottenere il riconoscimento della causa di servizio, dimostrando il nesso tra la malattia e la missione svolta. Questo viene suffragato dai referti medici che attestano la presenza di metalli pesanti sotto forma di micro e nano particelle ed elementi chimici in quantità eccezionali, spiegabili solo tramite l’esposizione a sostanze inquinanti presenti nell’ambiente di lavoro.

“In caso di infermità contratte da militari a causa dell’esposizione a polveri sottili derivanti dall’uranio impoverito, il verificarsi dell’evento costituisce un dato sufficiente a generare il diritto per le vittime delle patologie e per i loro familiari al risarcimento, a meno che la Pubblica Amministrazione riesca a dimostrare che essa non abbia causato l’insorgenza della patologia. La quale dipenda invece da fattori esterni dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica e determinanti per l’insorgere dell’infermità” (T.A.R. Torino, (Piemonte), sez. I, 06/03/2015, n. 429).

Ai sensi dell’art. 6 del DPR 243/2006, sovrapponibile a quello di cui all’art. 7 del DPR 461/2001, per la causa di servizio si ha la rilevanza di qualsiasi causa che abbia anche solo contribuito ad anticipare l’insorgenza, aggravare le infermità o anticipare la data della morte, come causa efficiente e determinante anche a titolo concausale, ex art. 64, 1° e 2° co., del DPR 1092/1973, rispetto alle regole della responsabilità civile, che non trovano applicazione nell’accertamento della causa di servizio in particolari condizioni ambientali ed operative eccedenti l’ordinarietà, ai sensi dell’art. 1, co. 564, L. 266/2005, e art. 1 del d.p.r. 243/2006.

Missioni in Somalia: status di vittime del dovere

L’art. 1, co. 564, L. 266/2005, e art. 1 del d.p.r. 243/2006 stabilisce che, qualora l’istanza miri a ottenere una speciale elargizione, ci si trova in un contesto indennitario completamente diverso. I presupposti del risarcimento del danno e della speciale elargizione sono del tutto diversi: nel primo caso, si richiede l’integrazione di tutti gli elementi propri di un’ipotesi di responsabilità civile, compresa la prova del nesso eziologico e dell’elemento soggettivo a carico del danneggiante.

Nel secondo caso, è sufficiente dimostrare di aver affrontato “particolari condizioni ambientali o operative”, caratterizzate da un carattere “straordinario” rispetto alle normali prestazioni del servizio, che possono essere la verosimile causa di un’infermità. Inoltre, il risarcimento del danno è esteso a chiunque e dipende dal danno effettivamente subito, mentre la speciale elargizione spetta solo a soggetti specificamente individuati dalla legge e viene quantificata in misura prestabilita (Consiglio di Stato, II sezione, n. 5816/2021).

Vediamo ora perché i militari in missione che hanno contratto una malattia correlata all’esposizione all’uranio impoverito e alle nano particelle di metalli pesanti devono essere equiparati in modo completo alle vittime del servizio.

Vediamo di seguito perché per i militari in missione nella guerra in Somalia che hanno riportato una malattia correlata all’esposizione all’uranio impoverito e a nano particelle di metalli pesanti deve vigere la totale equiparazione a vittime del dovere. Ovvero la conferma del nesso causale e/o della causa di servizio in particolari condizioni ambientali ed operative eccedenti l’ordinarietà, ai sensi dell’art. 1, co. 564, L. 266/2005, e art. 1 del d.p.r. 243/2006.

Missione Somalia in particolari condizioni ambientali

L’art. 1 del d.P.R. 7 luglio 2006, n. 243 definisce le missioni come attività di qualunque natura, anche ordinarie funzioni e mansioni, “quali che ne siano gli scopi, autorizzate dall’Autorità gerarchicamente o funzionalmente sopraordinata al dipendente”.

La stessa sentenza già citata afferma che: “per particolari condizioni ambientali od operative“, si intendono “le condizioni comunque implicanti l’esistenza o anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi e fatiche in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti d’istituto”.

Sulla base di SS.UU. 15055/2017, le “particolari condizioni ambientali e operative” sono legate anche a “grave errore organizzativo“, che è individuabile nella “imprudente organizzazione del servizio da parte dell’organizzazione“, che ha aggravato il rischio (così Tribunale di Palermo, sezione lavoro, sentenza n. 2420/2020, pubblicata il 03.09.2020, a definizione del proc. n. 7696/2015 RG). Quindi per missione in condizione di rischio si intendono tutte le attività che hanno comportato una violazione di regole cautelari.

Carattere “straordinario” della prestazione del servizio

I militari che hanno contratto infermità a causa dell’esposizione operaono senza dispositivi personali di protezione in locali, e svolsero le loro mansioni in aree, luoghi, situazioni sprovvisti/e di appropriati specifici e dedicati “sistemi di sicurezza”.

Inoltre è richiesto un quid pluris di disagio sofferto nel corso dell’espletamento del servizio: tale disagio consegue al carattere “straordinario” della prestazione del servizio, da cui sia conseguita la sottoposizione dell’istante “a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”.

Va sottolineato che l’appartenenza alle Forze Armate, oltre a comportare di per sé condizioni di vita strutturalmente più gravose rispetto all’impiego civile (a mero titolo di esempio, sottoposizione a rigido vincolo gerarchico, continuo addestramento fisico, pronta reperibilità, frequenti trasferimenti, et similia), impone al militare di esporsi al pericolo. Dunque la “straordinarietà” richiesta dall’art. 1079 D.P.R. n. 90 del 2010.

Accertamento e presunzione a carico dell’Amministrazione

Il complesso normativo di riferimento è quello di cui all’art. 1078 del DPR 90/2010, in combinato disposto con l’art. 603 del D.L.vo 66/2010, e con l’ambito di applicazione quello di cui all’art. 1079 dello stesso DPR 90/2010.

Il Piombo, il Cromo, il Mercurio, il Rame e lo Zinco sono tra i metalli pesanti individuati ex art. 1078 (Capo II – Soggetti che hanno contratto infermità o patologie tumorali per particolari condizioni ambientali ed operative) del D.P.R. 15 marzo 2010 n.90 quali responsabili, se introdotti nell’organismo umano in dimensioni nanometriche, dell’insorgenza di patologie tumorali; al pari delle radiazioni ionizzanti e non ionizzanti.

Il DPR 90/2010 all’art. 1078  definisce il trattamento previdenziale e per le invalidità di servizio ai soggetti esposti a particolari fattori di rischio, che hanno contratto infermità o patologie tumorali per particolari condizioni ambientali od operative, per cui rilevano le missioni e allo stesso tempo il teatro operativo all’estero, e le particolari condizioni, già di per sé e per effetto di tale impiego.

Il diritto delle vittime alla pensione privilegiata

Il successivo art. 1079 prevede che ai soggetti siano corrisposte le elargizioni previste per le vittime del dovere.

In ambito previdenziale e più specificamente nella pensionistica privilegiata, vige il concetto della interdipendenza. Per consolidata dottrina medico-legale e giurisprudenziale, l’espressione interdipendenza delinea un rapporto di causalità, giuridicamente rilevante, che consente di correlare un’invalidità, già indennizzata, ad ogni altra menomazione dell’integrità anatomo-funzionale, diffusione o complicazione, nosograficamente nuova e diversa, interessante lo stesso organo o apparati o organi ed apparati cofunzionali. Tanto che il danno anatomo-funzionale deve essere valutato nel suo complesso, per cui similare ragionamento in termini di rapporto causale e di interdipendenza deve applicarsi nella ricostruzione dell’evento.

Per cui «Il fatto che, allo stato delle conoscenze scientifiche, non sia acclarata l’effettiva valenza patogenetica dell’esposizione all’uranio impoverito non osta, dunque, al diritto alla percezione dell’indennità, che comunque spetta allorché l’istante abbia contratto un’infermità verosimilmente a causa di “particolari condizioni ambientali ed operative”, di cui “l’esposizione e l’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e la dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico” costituiscono solo un possibile aspetto» (Consiglio di Stato, II sezione, n. 5816/2021).

Dimostrare il nesso causale e l’onere della prova

Per quanto riguarda lo status di vittima del dovere vale il principio dell’inversione dell’onere della prova in relazione all’esposizione ad uranio impoverito, oltre che all’amianto. In questo caso sono rilevanti tutte le esposizioni. Anche quelle indirette e per contaminazione del lungo servizio, in patria e nelle missioni all’estero. Infatti i benefici per le vittime del dovere non si basano sul profilo dell’esposizione all’uranio impoverito o nano particelle, ma sulla sottoposizione a “gravose condizioni ambientali e operative” e della conseguente contrazione di infermità in una platea di soggetti definiti dalla legge a:

  • personale militare e civile italiano impiegato in “missioni di qualunque natura”, sia in patria sia all’estero;
  • personale militare e civile italiano impiegato presso “i poligoni di tiro ed i siti in cui vengono stoccati munizionamenti”;
  • al personale militare e civile italiano impiegato “nei teatri operativi all’estero” (evidentemente anche al di fuori di una specifica “missione” condotta dalla Forza Armata o dall’Amministrazione di appartenenza) ed al personale militare e civile italiano impiegato nelle aree specificate;
  • “cittadini italiani” “operanti nei settori della cooperazione ovvero impiegati da organizzazioni non governative nell’ambito di programmi aventi luogo nei teatri operativi all’estero”;
  • “cittadini italiani residenti” “nelle zone adiacenti alle basi militari sul territorio nazionale presso le quali è conservato munizionamento pesante o esplosivo e alle aree specificate”.

In caso di decesso dell’interessato, del beneficio fruiscono “il coniuge, il convivente e i figli superstiti dei soggetti, i genitori ovvero i fratelli conviventi e a carico qualora siano gli unici superstiti”.

La prova del nesso causale: come funziona?

Molto spesso, in particolare con riferimento alle patologie più gravi, esitate nel decesso del militare che ne era affetto, il C.V.C.S. si è espresso in termini negativi per l’asserita mancanza di certezza assoluta, sul piano scientifico, in ordine al nesso di causalità, senza alcuna valutazione del criterio probabilistico-statistico che, per costante insegnamento dei giudici di legittimità, deve essere applicato in questi casi, anche con riguardo alla causa di servizio (Cassazione civile, sez. un., 17/06/2004, n. 11353, e, da ultimo, Cassazione civile, sez. lav., 02/01/2018, n. 12).

Ma il T.A.R. Genova, (Liguria), sez. I, 29/09/2016, n. 956 afferma che in tema di accertamenti in ordine alla dipendenza da causa di servizio, l’impossibilità di stabilire, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, un nesso diretto di causa-effetto tra l’impiego nei contesti fortemente inquinati dei teatri operativi (nella specie il ricorrente era stato impiegato nel 2002 nel Kosovo in zone interessate dall’utilizzo di ordigni all’uranio impoverito) e la patologia neoplastica comporta che non debba essere richiesta la dimostrazione dell’esistenza del nesso causale con un grado di certezza assoluta. Essendo invece sufficiente la dimostrazione in termini probabilistico-statistici, come indicato nella relazione della Commissione parlamentare di inchiesta nominata in materia.

Guerra in Somalia e il criterio di probabilità

In tale ottica, il verificarsi dell’evento costituisce ex se un dato sufficiente, secondo il cosiddetto “criterio di probabilità“. Questo a far sì che le vittime delle patologie abbiano diritto ai benefici previsti dalla legislazione vigente ogni qual volta, accertata l’esposizione del militare all’inquinante in parola, l’amministrazione non riesca a dimostrare che essa non abbia determinato l’insorgenza della patologia e che questa dipenda, invece, da fattori esogeni dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica.

“In concordanza con il «criterio di probabilità» proposto e fatto proprio dalla Commissione Parlamentare d’Inchiesta istituita con Delibera del Senato dell’11 ottobre 2006, le malattie emolinfopoietiche appaiono essere compatibili con l’esposizione del personale militare inviato nei Balcani agli inquinanti chimici e radiologici presenti nell’ambiente, già teatro di guerra; inquinanti che avrebbero agevolmente generato, attraverso radiazioni assorbite con contaminazione interna, la comparsa di tali morbilità. Il mancato utilizzo di nessuna protezione e nessuna particolare precauzione va a confermare tale ipotesi, tanto più che si usufruiva e veniva comunemente utilizzata l’acqua del posto per la pulizia della persona e del vestiario, delle cose, delle infrastrutture ed immobili, e per la preparazione del cibo” (coerente con Consiglio di Stato, sentenza n. 5816/2021), ribadito dalla relazione finale della Commissione Parlamentare d’Inchiesta della Camera dei Deputati del 07.02.2018, da cui non si può prescindere.