In questa guida parliamo di plastica. Non parliamo però di inquinamento da plastica, ma degli effetti dell‘esposizione alla plastica (e alle microplastiche) sulla salute umana. Infatti si iniziano ad avere a disposizione abbastanza studi e ricerche per iniziare a fare il punto della situazione: quanto ci fa male ingerire e respirare le microplastiche?

La plastica è parte integrante della nostra vita quotidiana, si sa. Grazie alla sua versatilità, praticità e basso costo, ha rivoluzionato il modo in cui viviamo, produciamo e consumiamo. Tuttavia, dietro i suoi innumerevoli vantaggi si nasconde una realtà sempre più preoccupante. L’impatto negativo che plastica e microplatica può avere sulla salute umana. Negli ultimi anni, l’attenzione non si è limitata soltanto all’inquinamento ambientale, ma si è estesa alla contaminazione degli organismi viventi, inclusi gli esseri umani, a causa dell’accumulo di microplastiche.

La diffusione globale della plastica e il problema delle microplastiche

In ogni angolo del pianeta, dalla calotta antartica alle regioni artiche, è possibile trovare tracce di plastica. Questi residui derivano dalla degradazione di oggetti plastici più grandi, che, esposti ai raggi solari, all’erosione meccanica e ad altre forze naturali, si frantumano in piccole particelle.

Queste minuscole particelle, definite microplastiche, hanno dimensioni inferiori a 5 millimetri e, a causa della loro persistenza, si accumulano negli ecosistemi terrestri e marini. La loro capacità di essere trasportate dalle correnti d’acqua o addirittura sospese nell’aria le rende difficili da contenere e monitorare.

Microplastiche: caratteristiche e formazione

Le microplastiche possono essere classificate in due tipologie: quelle prodotte intenzionalmente a dimensioni microscopiche, spesso impiegate in cosmetici e detergenti, e quelle che derivano dalla frammentazione di oggetti di plastica più grandi, come bottiglie, sacchetti e reti da pesca. La loro resistenza alla degradazione biologica le rende persistenti per decenni, se non secoli, contribuendo così a un accumulo costante nell’ambiente e, in ultima analisi, nel nostro organismo.

L’infiltrazione della plastica nell’organismo umano

Numerosi studi degli ultimi anni hanno rivelato che le microplastiche non si limitano a contaminare gli ambienti naturali, ma riescono ad entrare nel corpo umano. Queste particelle sono state rilevate in vari fluidi biologici, tra cui sangue, urine e latte materno, e persino in tessuti vitali come la placenta. L’ingestione di cibi contaminati o l’inalazione di aria carica di microplastiche rappresenta la principale via di esposizione, e la loro capacità di superare le barriere biologiche le porta a depositarsi in organi come fegato, reni e cuore. Quello che ancora non si sapeva era quali fossero gli effetti sulla salute una volta accumulatesi nel corpo umano.

Impatti sulla salute e malattie correlate: quali sono?

Una volta all’interno dell’organismo, le microplastiche non sono semplicemente particelle inerti: esse agiscono come vettori di sostanze chimiche tossiche, tra cui ftalati, bisfenolo A (BPA) e altri composti perfluorurati. Questi agenti possono interferire con il normale funzionamento cellulare e ormonale, contribuendo allo sviluppo di numerose patologie.
Ad esempio, l’accumulo di microplastiche nelle arterie è stato correlato alla formazione di placche aterosclerotiche, aumentando il rischio di infarti e ictus.

Inoltre, l’esposizione prolungata a interferenti endocrini come BPA e ftalati è stata associata a disturbi ormonali, problemi riproduttivi e alterazioni dello sviluppo fetale. Tra le conseguenze più gravi, alcuni studi suggeriscono un legame tra l’esposizione a determinate sostanze chimiche derivate dalla plastica e l’insorgenza di alcuni tipi di tumori, oltre a fenomeni neurologici e metabolici che possono portare a diabete e obesità.

Le sfide della contaminazione: un problema emergente

La pervasività delle microplastiche rappresenta una delle maggiori emergenze ambientali e sanitarie dei nostri tempi. La difficoltà nel monitorare e limitare la loro diffusione rende la questione particolarmente complessa. Non esiste un singolo ambiente incontaminato, e le microplastiche sono ormai una componente ineludibile sia degli ecosistemi naturali che della nostra alimentazione quotidiana. Questa realtà richiede un approccio integrato che combini la ricerca scientifica, la regolamentazione delle sostanze chimiche e la sensibilizzazione pubblica.

Strategie per ridurre l’esposizione

Per limitare i rischi associati alla plastica e alle microplastiche, sono necessarie azioni a più livelli. Sul fronte individuale, è importante adottare comportamenti di consumo responsabili: preferire prodotti con imballaggi ridotti o realizzati in materiali alternativi, evitare l’uso eccessivo di plastica monouso e privilegiare il riciclo.

Anche a livello industriale e istituzionale, le normative si stanno evolvendo per limitare l’uso di sostanze pericolose come il BPA e i PFAS, e promuovere l’adozione di alternative più ecologiche.

Solo attraverso un approccio globale sarà possibile mitigare i rischi e proteggere la salute delle future generazioni.

Cosa si può fare per ridurre l’esposizione individuale alla plastica?

Una campagna dell’Associazione Medici per l’Ambiente (ISDE Italia) raccomanda di evitare l’uso di contenitori in plastica per alimenti e di preferire materiali come il vetro. Inoltre, è consigliabile non riscaldare cibi in plastica nel microonde, poiché questo aumenta il rilascio di sostanze tossiche. Lo stesso dicasi per le bustine di tè e tisane che rilasciano microplastiche nell’acqua calda: meglio preferire prodotti sfusi.

Raccomandato inoltre non utilizzare bottiglie di plastica per l’acqua, preferendo quelle di vetro. Lo stesso dicasi per le pellicole per la conservazione dei cibi e per i cibi venduti in contenitori di plastica. Purtroppo sono poche le aziende che hanno sostituito i contenitori in plastica con vasetti in vetro o in carta reciclata.

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