I militari italiani e dei contingenti stranieri che hanno partecipato alla Guerra in Afghanistan hanno riportato, in troppi casi, patologie gravi. Esse sono accomunate a quelle conosciute come Sindrome del Golfo e Sindrome di Balcani.

La causa delle patologie osservate in seguito alla guerra è stata confermata nell’inalazione e nell’assorbimento di nanoparticelle prodotte per combustione ad altissima temperatura di bersagli metallici colpiti dai proiettili all’uranio impoverito utilizzati nelle operazioni militari.

In questa guida approfondiamo il tema della tutela legale del personale delle Forze Armate italiane impegnate nelle missioni durante la Guerra in Afghanistan che ha riportato gravi malattie. Per questi dipendenti che hanno contratto una malattia nell’esercizio della loro professione la legge prevede lo status di vittime del dovere, a cui fanno capo una serie di benefici che vedremo nel dettaglio.

L’ONA – Osservatorio Nazionale Amianto e il suo Presidente, l’Avv. Ezio Bonanni, sono impegnati da decenni nell’assistenza legale di numerosi militari dell’Esercito e della Marina Militare Italiana che hanno contratto malattie causate dall’utilizzo di uranio impoverito. Gli effetti dell’inalazione dei metalli e delle radiazioni ionizzanti sono stati spesso acutizzati da un’errata procedura vaccinale.

In alcuni casi le cause legali sono ancora in corso. Lo sforzo non si ferma però alla tutela legale, ma prosegue nell’informazione e nella sensibilizzazione, attraverso convegni e articoli su questo increscioso tema che coinvolge lo Stato.

Guerra in Afghanistan: gli elementi salienti

L’inizio della guerra in Afghanistan risale al 7 ottobre 2001, quando le ostilità ebbero inizio con l’invasione del territorio controllato dai talebani da parte di gruppi afghani ostili appartenenti all’Alleanza del Nord. In quel periodo, gli Stati Uniti e la NATO fornirono un supporto tattico, aereo e logistico. Successivamente, dopo la conquista di Kabul, le truppe occidentali, principalmente statunitensi e britanniche, aumentarono la loro presenza sul territorio per sostenere il nuovo governo afghano, in un’operazione nota come Enduring Freedom.

L’amministrazione Bush giustificò l’invasione dell’Afghanistan come parte della guerra al terrorismo, in risposta agli attentati dell’11 settembre 2001. L’obiettivo era distruggere al-Qaida e catturare o eliminare Osama bin Laden. Dieci anni dopo l’invasione, il 2 maggio 2011, le forze statunitensi effettuarono un’incursione a Abbottabad, in Pakistan, vicino a Islamabad, uccidendo Osama bin Laden nel suo rifugio.

A seguito dell’invasione dell’Iraq nel 2003, la guerra in Afghanistan perse priorità per l’amministrazione degli Stati Uniti e tornò in primo piano solo nel 2009 durante l’amministrazione Obama. A partire dal 2015, l’operazione della NATO denominata ISAF fu sostituita dall’Operazione Sostegno Risoluto, che aveva lo scopo di continuare ad aiutare il governo afghano con un contingente ridotto di truppe, in un contesto caratterizzato da un aumento delle offensive dei talebani.

Nel maggio 2021, iniziò il ritiro delle ultime truppe statunitensi e della coalizione NATO dall’Afghanistan. In concomitanza con questo ritiro, i talebani lanciarono attacchi in diverse aree del Paese e riconquistarono il controllo della parte settentrionale. Il 15 agosto, i talebani entrarono nella capitale Kabul. In seguito, il presidente afghano Ashraf Ghani fuggì inizialmente in Uzbekistan o Tagikistan e successivamente trovò rifugio negli Emirati Arabi Uniti.

Utilizzo dell’uranio impoverito in Afghanistan

I militari italiani in Afghanistan, durante la missione di pace “Enduring Freedom”, utilizzarono armamenti all’uranio impoverito in grandi quantità. Oltre ai proiettili all’uranio impoverito furono utilizzate bombe ad elevata penetrazione, concepite allo scopo di distruggere bunker in profondità e che spesso montano testate con uranio impoverito per acquisire maggiore peso e penetrazione. Anche le cosiddette “bombe intelligenti” possono montare una testata in uranio impoverito. Durante “Enduring Freedom” sono state lanciate circa 12000 bombe di cui il 60% “intelligenti”.

L’impatto dei proiettili all’UI con gli obiettivi sviluppa temperature che superano i 3mila °C, nebulizzandoli. L’aerosol di nanoparticelle (un millesimo di millimetro) di metalli pesanti, se respirato o in ingerito, causa forme tumorali.

Sono circa 369 i decessi7.500 i malati italiani di ritorno dalla Guerra in Afghanistan.

Uranio impoverito: una sostanza controversa e i suoi danni

L’Uranio Impoverito (UI) è un materiale che si ottiene attraverso il processo di arricchimento dell’Uranio naturale. Durante questo processo, l’Uranio-235 (U235) viene ridotto di circa due terzi della sua concentrazione originale. L’UI ha una densità elevata (19 g/cm3), il che lo rende adatto per la penetrazione di corazzature.

Dal punto di vista chimico e metallurgico, l’UI è simile all’Uranio naturale e condivide gli stessi rischi in termini di tossicità chimica e radiologica. Gli Stati Uniti, ad esempio, classificano l’UI come una sostanza che richiede specifiche autorizzazioni per il suo utilizzo.

L’autorizzazione generale consente l’uso e il trasporto di quantità limitate di UI, fino a un massimo di 150 libbre all’anno (68 kg). Per autorizzazioni specifiche, è necessario presentare documentazione dettagliata sull’uso previsto del materiale, nonché sulle misure di sicurezza e sulla preparazione del personale coinvolto.

I danni alla salute derivanti dall’Uranio Impoverito

effetti metalli pesanti

Come già detto, quando un proiettile di uranio impoverito colpisce un bersaglio come un bunker o un veicolo corazzato, l’esplosione ad alta temperatura rilascia nell’ambiente nanoparticelle di metalli pesanti, tra cui il piombo.

Secondo l’International Agency for Research on Cancer (IARC), il piombo è classificato come un possibile cancerogeno per l’uomo, con comprovata tossicità che può causare danni biologici significativi (IARC nel volume 77). Se l’uranio impoverito viene inalato, il metallo radioattivo può depositarsi nei polmoni e in altri organi, portando a diversi tipi di cancro.

Nei paesi maggiormente colpiti dall’uranio impoverito, sono stati riscontrati numerosi casi di malattie del sistema ematopoietico e gastrointestinale tra i militari e la popolazione civile. Per approfondire gli effetti dell’Uranio Impoverito sulla salute, è possibile consultare il documento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità intitolato “Depleted Uranium. Sources, exposures and health effects”.

Le patologie più comuni riscontrate tra gli individui esposti includono danni renali, cancro ai polmoni, tumori ossei, carcinoma all’esofago, problemi alla pelle, disturbi neurocognitivi, anomalie cromosomiche, sindromi da immunodeficienza, rare malattie renali e intestinali, malformazioni genetiche nei nascituri, linfomi di Hodgkin e leucemie.

Un’analisi approfondita dei danni alla salute

Nel caso di contaminazione interna, i composti solubili di uranio (UVI) possono causare danni chimici ai tubuli convoluti prossimali dei reni, portando a ematuria, albuminuria, formazione di masse anomale all’interno delle cavità renali, azotemia e necrosi tubulare.

I composti meno solubili di uranio (UIV), se inalati, tendono ad accumularsi principalmente nei polmoni o nell’osso durante la mineralizzazione. Inoltre, questi composti inibiscono il metabolismo dei carboidrati nel complesso dell’ATP-uranil-esochinasi, interferendo con il trasferimento di fosfati al glucosio e inibendo la prima fase del suo utilizzo metabolico.

Gli isotopi di uranio hanno un’alta specificità organica, combinata con un’emivita lunga e una radiazione corpuscolare, che causa danni chimici e radiologici agli organi bersaglio, all’albero bronchioalveolare, ai reni e alle ossa, con conseguenti alterazioni somatiche e genetiche che possono portare allo sviluppo di tumori.

Mentre le radiazioni alfa degli isotopi di uranio presenti nell’UI non rappresentano un rischio esterno significativo, le radiazioni beta con un’energia di 2,29 MeV (234 Pa) hanno un raggio d’azione di circa 0,5 cm nell’alluminio e di diversi centimetri nei tessuti umani, esponendo così il corpo a una dose di radiazione beta di circa 217-20,4 mR/h. Questo dato è confermato dalla monografia dell’IARC dedicata alle radiazioni. I raggi gamma sono il principale tipo di radiazione emessa da una cartuccia contenente Uranio Impoverito.

La contaminazione dell’organismo con Uranio Impoverito costituisce un rischio sia chimico che fisico se l’uranio entra nel corpo attraverso la pelle, l’ingestione o l’inalazione, oppure attraverso ferite o ustioni. L’ossido di uranio trattenuto nei polmoni può causare lesioni neoplastiche come il carcinoma epidermoide.

Il Colonnello Carlo Calcagni e l’uranio impoverito

vittime del dovere-causa di servizio

Durante la quinta puntata di ONA TV, il Colonnello Carlo Calcagni, un elicotterista che ha operato nei Balcani e in particolare nel teatro di guerra della Bosnia Erzegovina, ha raccontato la sua esperienza di contaminazione da Uranio Impoverito e da 28 metalli pesanti. Attualmente, soffre di 24 patologie, tra cui la sindrome da Sensibilità Chimica Multipla. Ha descritto oltre 300 punti di sutura e le terapie quotidiane che è costretto a subire, tra cui dialisi e l’assunzione di circa 300 medicinali al giorno. Tra questi ci sono più di 75 sostanze chimiche che agiscono come una sorta di antidoto, consentendogli di essere esposto quotidianamente a sostanze chimiche che non causano reazioni in individui non contaminati.

L’uranio impoverito rimane un argomento dibattuto, con preoccupazioni crescenti riguardo ai suoi effetti sulla salute umana. Gli studi e le ricerche in corso cercano di comprendere appieno i danni associati a questa sostanza e di sviluppare misure preventive per ridurre gli impatti negativi sulla salute delle persone esposte.

Forze armate negazioniste e i diritti delle vittime negati

Le Forze Armate, in contestazione con la realtà dei fatti, continuano a negare l’esistenza di un collegamento tra le malattie e l’utilizzo dell’Uranio Impoverito. Tuttavia sono già state emesse 130 sentenze che riconoscono il legame di causa ed effetto.

La prima vittoria legale risale al 3 novembre 2012, quando una sentenza del Tribunale civile di Roma stabilì che il caporal maggiore Andrea Antonaci, che aveva prestato servizio in Bosnia, era stato ucciso dall’esposizione all’Uranio Impoverito. Questo giudizio è di grande importanza poiché conferma la correlazione tra la patologia contratta dal giovane militare, un linfoma di Hodgkin, e l’esposizione all’U235.

Cinque anni dopo, una sentenza dello stesso tribunale conferma le responsabilità del ministero della Difesa nel caso del caporal maggiore dell’Esercito Corrado Di Giacobbe. Nella sentenza 11408/2017, i giudici affermano che i militari inviati in missione di peacekeeping nei Balcani non erano adeguatamente equipaggiati per prevenire la contaminazione da particelle di Uranio Impoverito sospese nell’aria.

Sempre più spesso, i ricorsi presentati dal ministero della Difesa vengono respinti in appello. È il caso della Corte di Trieste, che ha respinto il ricorso presentato dal ministero e ha confermato la sentenza favorevole all’erede di una delle vittime. Questa sentenza è stata emessa dal Tribunale del lavoro di Udine.

L’ex ministro della Difesa Elisabetta Trenta si è impegnata a rompere il silenzio che fino ad ora ha circondato questa questione. Un anno fa, l’ex ministro aveva annunciato l’avvio di un tavolo tecnico per approfondire il problema dell’Uranio Impoverito, sottolineando che non si può ignorare la sua esistenza.

Secondo l’ex titolare della Difesa, sarebbe necessaria una legge specifica che modifichi l’onere della prova e tuteli le vittime da qualsiasi ostruzionismo da parte dell’Amministrazione. In tal modo, il personale coinvolto non sarebbe più tenuto a dimostrare di aver contratto la malattia in servizio, ma sarebbe l’Amministrazione a dover dimostrare che la malattia ha altre cause.

Per fare chiarezza sulle responsabilità e definire le modalità di risarcimento, sono state istituite ben quattro Commissioni parlamentari di inchiesta. L’ultima, presieduta dall’onorevole Gian Piero Scanu, sostiene la necessità di un intervento che impegni il governo e il Parlamento ad attuare tempestivamente le disposizioni che la Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito della Camera indicherà come urgenti.

Domenico Leggiero commenta dicendo che spera che la raccolta firme per la presentazione della legge Scanu sulla tutela del personale, proposta dall’onorevole Gianluca Rizzo, proceda velocemente verso la calendarizzazione e l’approvazione. Questo rappresenterà il grado di sensibilità del Parlamento nei confronti di una problematica che sta causando la morte di centinaia di militari. Non bisogna reagire soltanto per nascondere le colpe di personaggi oscuri che ancora detengono troppo potere, ma bisogna permettere alla verità di emergere.

Proiettile uranio impoverito e la legge internazionale

Nonostante si conosca da tempo la pericolosità dell’uso di armi uranio impoverito, attualmente non vi è ancora nessun trattato internazionale che vieti categoricamente l’utilizzo di proiettili e blindature in DU nelle zone di guerra.

Tuttavia, la sottocommissione delle Nazioni Unite per la prevenzione e la protezione delle minoranze, nel 1996, ha approvato una risoluzione che vieta l’uso di armi di uranio impoverito.

Per quanto riguarda uranio in Italia, i vertici militari del nostro Paese, in collaborazione con la NATO, hanno istituito una Commissione d’Inchiesta presso il Senato. Il fine è identificare i responsabili, laddove presenti, e accertare il nesso causale tra esposizione a uranio impoverito e malattie contratte.

La relazione finale della Commissione di Inchiesta della Camera dei deputati ha ribadito che l’uranio impoverito è una delle condizioni di rischio che corrono i militari italiani. L’uso di questi proiettili ha infatti contaminato estesi territori. Per questi motivi si sono moltiplicate le malattie tra i soldati.

Inoltre anche l’Avv. Ezio Bonanni è stato audito dalla Commissione di Inchiesta Uranio Impoverito il 6 dicembre 2017. Ha così evidenziato come ci sia sinergia tra le plurime esposizioni ad amianto e uranio impoverito e gli effetti nefasti sulla salute umana.

Alla fine, la Commissione Parlamentare ha confermato le tesi esposte dall’Avv. Bonanni riguardanti la tutela delle vittime dell’uranio impoverito tra il personale civile e quello delle Forze Armate.

Per dimostrare la presenza di un nesso causale, la giurisprudenza ha accolto il criterio del “più probabile che non”. Perciò vi è maggior probabilità che il danno sia frutto dell’esposizione a un determinato fattore patogeno, a meno che non esistano prove concrete della riferibilità a un fattore eziologico distinto (Cass. Civ., Sez III, 9 Giugno 2016, n. 11789, in Pluris).

Danni da uranio impoverito: tutela legale

I militari, impiegati in missioni in Italia e all’estero, come nelle missioni Afghanistan, che hanno subito dei danni alla salute, hanno diritto a determinate prestazioni assistenziali e previdenziali.

La prima cosa da ottenere è il riconoscimento della causa di servizio. Successivamente è possibile richiedere l’equo indennizzo e la pensione privilegiata.

Inoltre il militare può fare domanda per il riconoscimento dello status di Vittima del Dovere e per le prestazioni aggiuntive spettanti.

Infine la vittima ha diritto anche all’integrale risarcimento dei danni. Sono compresi sia i pregiudizi patrimoniali sia quelli non patrimoniali (danno biologicomorale ed esistenziale). In caso di decesso, gli eredi hanno diritto al ristoro dei danni iure hereditario e iure proprio.

Anche in caso di incertezza i diritti delle vittime devono essere sempre riconosciuti. Ciò è confermato dal Tribunale di Roma, Sez. Civile, sentenza 567/2023, che ha condannato il Ministero a risarcire i danni subiti dai familiari del luogotenente Di Vico Leopoldo. In sede civilistico risarcitoria, si applica il criterio del “più probabile che non“.

I diritti spettanti agli eredi della vittima

In caso di decesso, i diritti maturati dalle vittime si trasmettono ai loro eredi.

Si è però verificata una discriminazione per quanto riguarda i diritti dei figli non a carico della vittima al momento del decesso. Infatti ci si ostina a sostenere che i figli non a carico fiscale non avrebbero diritto a tali prestazioni.

Questa ingiustizia è stata denunciata dall’Avv. Ezio Bonanni nella sua audizione presso la I^ Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica (29.10.2019).

L’appiglio su cui fanno leva i Ministeri, come quello delle Difesa, per negare i diritti ai figli di vittime del dovere, si basa sull’art. 6 della L. 466/1980 e su SS.UU. 22753/2018. Tuttavia, l’Avvocato Bonanni contrasta questa posizione. Infatti l’articolo della Legge 466 fa riferimento alla sola speciale elargizione. Mentre SS.UU. 22753/2018 prende in considerazione i fratelli e sorelle non a carico, e non i figli.

Infine, nel 2021 la Corte di Cassazione, in Civile Ord. Sez. 6 Num. 15224, ha discusso sull’estensione dei benefici riservati al figlio di vittima del dovere, qualora egli non si trovi più a carico del familiare deceduto. Ma ha precisato di non aver ancora assunto una posizione in merito.Identificazione e vittime del dovere: chi sono coloro che hanno compiuto un servizio in specifiche attività?

Le persone considerate vittime del dovere sono individui che hanno prestato servizio in determinate attività, come stabilisce l’articolo 1, comma 563, della Legge 266/2005. Nel corso del tempo, queste protezioni si sono estese a coloro che hanno svolto missioni, come quella in Afghanistan, e a coloro che hanno operato in condizioni ambientali ed operative particolari.

Quando si verifica un’incapacità lavorativa o il decesso, si ha il diritto di essere riconosciuti come vittime del dovere. Questo si applica nei seguenti casi:

  • Contrastando ogni forma di criminalità;
  • Svolgendo servizi di ordine pubblico;
  • Sorvegliando infrastrutture civili e militari;
  • Partecipando a operazioni di soccorso;
  • Impegnandosi in attività per la tutela della pubblica incolumità;
  • A causa di azioni in contesti di impiego internazionale che non necessariamente presentano caratteristiche ostili.

Se tali lesioni si sono verificate durante l’adempimento del servizio in condizioni di rischio che vanno al di là della normalità, si ha anche diritto a una totale equiparazione alle vittime del dovere. Questo fa riferimento a condizioni ambientali ed operative eccezionali (articolo 1, comma 564, Legge 266/2005 e articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 243/2006), come l’esposizione all’amianto, alle nanoparticelle da proiettili all’uranio impoverito e alle radiazioni ionizzanti.

I benefici per le vittime del dovere: quali sono?

I benefici per le vittime del dovere includono:

  • Un’indennità speciale di 200.000 euro, con rivalutazione monetaria, in caso di inidoneità al servizio o di invalidità non inferiore all’80% (in altri casi, 2.000 euro per punto percentuale, con rivalutazione monetaria);
  • Un assegno vitalizio mensile di 500 euro, a condizione che si abbia una lesione invalidante pari al 25%;
  • Un assegno vitalizio speciale di 1.033 euro mensili, a condizione che si abbia una lesione invalidante pari al 25%;
  • Due annualità di pensione per coloro che hanno diritto alla reversibilità;
  • Esenzione dall’imposta sul reddito delle pensioni;
  • Assunzione mediante chiamata diretta con priorità assoluta rispetto a qualsiasi altra categoria (diritto esteso ai figli o al coniuge in caso di decesso o di invalidità che impedisce la prosecuzione dell’attività lavorativa);
  • Esenzione dal pagamento del ticket sanitario;
  • Accesso a borse di studio;
  • Assistenza psicologica.

Lo status di vittima del dovere è imprescrittibile, secondo l’articolo 2934 del Codice Civile, in relazione agli articoli 2 e 38 della Costituzione. Questo principio è di grande importanza perché consente di ottenere tutela anche quando siano trascorsi più di 10 anni dall’evento lesivo.

Totale equiparazione a vittime del dovere

L’equiparazione vittime del dovere alle vittime del terrorismo è ormai un dato acquisito (SS.UU 22753 del 2018). Tuttavia, questa totale equiparazione alle vittime del terrorismo è solo per quanto riguarda le prestazioni nei confronti della vittima, e non include gli orfani che non sono nel carico fiscale.

Negli anni, grazie all’impegno dell’Avv. Ezio Bonanni, erano stati raggiunti significativi risultati anche per la tutela degli orfani di vittima del dovere non nel carico fiscale. Ricordiamo importanti pronunce, tra cui quella della Corte di Appello di Genova – sez. Lavoro n. 575/2019, che aveva accolto la domanda di orfana non a carico. Così con riforma della sentenza di primo grado. Tuttavia, in seguito a Cass. Civile Ord. Sez. 6 Num. 15224 del 2021, la questione rimaneva da affrontare, dopo le SS.UU. 22753 del 2018.

Le tutele per i superstiti delle vittime del dovere

In seguito al decesso, tutte le prestazioni maturate dalla vittima vengono erogate ai suoi eredi legittimi, comprese le prestazioni previdenziali e risarcitorie. Ne rimangono esclusi come superstiti delle vittime del dovere, come già detto, gli orfani non a carico fiscale. Si applicherebbe, secondo l’Avvocatura dello Stato infatti, l’art. 6, comma 1, n. 1 della L. 466/1980, che identifica tra i superstiti solo i figli nel carico fiscale e il coniuge.

Questa discriminazione è inaccettabile. Questa vicenda è stata rimarcata nei suoi aspetti paradossali, dallo stesso Avv. Ezio Bonanni sentito dalla I Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica (29.10.2019).

Purtroppo, la Corte di Cassazione, ha accolto le richieste dell’Avvocatura dello Stato, ritenendo applicabile questa normativa. Così Cass. Sez. Lav., 11181 del 2022. Però, con delle eccezioni. In attesa del Legislatore, la Corte tutela gli orfani non a carico in assenza del coniuge oppure se questi non è titolare di pensione. Infatti, secondo la stessa Cassazione, Sez. Lav. 11181/2022, sono fatti salvi i diritti degli orfani non a carico fiscale solo in questo caso.

I beneficiari dell’equiparazione a vittime del dovere

La Legge 466/1980 indica che sono equiparati a vittime del dovere: magistrati ordinari, militari dell’Arma dei Carabinieri e del Corpo di finanza, appartenenti alle guardie di pubblica sicurezza e del Corpo degli agenti di custodia, il personale del Corpo forestale dello Stato e del Corpo di polizia femminile. A vittime del dovere equiparazione si aggiungono il personale civile dell’Amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, vigili del Fuoco, appartenenti alle Forze armate dello Stato in servizio di ordine pubblico o di soccorso.

La legge è arrivata a includere come equiparati vittime del dovere anche ad altri tipi di vittime. In particolare, questo diritto è riconosciuto a tutti coloro che nell’adempimento di un dovere hanno subito delle infermità, dunque un danno biologico (SS. UU. 22753/2018). Sono quindi compresi i dipendenti pubblici e coloro che non sono dipendenti pubblici, ma hanno svolto un servizio per la PA in esposizione ad amianto o ad altri cancerogeni (Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con Sent. n. 22753/2018).

Vittime del dovere e il risarcimento integrale dei danni

La vittima del dovere e i loro eredi leggittimi hanno diritto al totale risarcimento dei danni. Perciò vanno ristorati i danni patrimoniali (danno emergente e lucro cessante) e danni non patrimoniali subiti (morali, biologici, esistenziali).

I familiari eredi legittimi hanno diritto anche al risarcimento dei danni subiti iure proprio. Il risarcimento del danno parentale spetta anche a coloro che possono dimostrare un rapporto di affetto con la vittima, la cui morte comporta uno stravolgimento sostanziale della propria esistenza e radicali e fondamentali cambiamenti di vita dovuti alla perdita.

Vi sono differenti strade con cui si può conseguire l’ottenimento di un risarcimento danni, come:

  • costituirsi parte civile nel processo penale e chiedere la condanna del Ministero, sia esso della Difesa, dell’Interno, o dell’Economica e delle Finanze, in solido con gli imputati, al risarcimento dei danni da reato (lesioni colpose in caso di patologia oppure omicidio colposo in caso di decesso);
  • esercitare l’azione civile presso il TAR, facendo valere la responsabilità contrattuale per violazione dell’obbligo di sicurezza;
  • esercitare l’azione civile con azione presso il Tribunale di Roma, chiedendo la condanna del Ministero responsabile, per i profili di responsabilità extracontrattuale e civile da reato.

Quantificazione del danno non patrimoniale

Le prestazioni sia previdenziali che risarcitorie si misurano sul grado di invalidità. Sia lo speciale assegno vitalizio che l’assegno vitalizio mensile sono erogati solo a coloro riconosciuti con un grado di invalidità non inferiore al 25%. Il criterio per la quantificazione è quello del dPR 181 del 2009 e non l’art. 5 d.P.R. n. 243/2006, con gli artt. 5 e 6 I. n. 206/2004.

Si tratta di una tutela importante, perché il Legislatore ha sancito che l’invalidità rilevante deve comprendere anche il danno morale subito. Ciò comporta una rivalutazione retroattiva delle prestazioni su istanza dell’interessato.

Causa di servizio nelle missioni in Afghanistan

I militari impiegati nelle missioni in Afghanistan che hanno riportato malattia devono ottenere lo status di vittime del dovere. Per ottenere questo status è necessario in primis ottenere il riconoscimento della causa di servizio, attraverso il nesso tra la malattia e la missione svolta. Questo “suffragato dai referti medici che attestano la presenza metalli pesanti, in forma di micro e nano particelle, ed elementi chimici in quantità a volte esorbitanti e quindi non altrimenti spiegabili se non attraverso l’esposizione a sostanze inquinanti presumibilmente presenti nell’ambiente di lavoro” (Consiglio di Stato, II sezione, n. 5816/2021).

In caso di infermità contratte da militari a causa dell’esposizione a polveri sottili derivanti dall’uranio impoverito, il verificarsi dell’evento costituisce un dato ex se sufficiente a ingenerare il diritto per le vittime delle patologie e per i loro familiari al risarcimento a meno che la Pubblica amministrazione non riesca a dimostrare che essa non aveva determinato l’insorgenza della patologia la quale dipenda, invece, da fattori esogeni, dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica e determinanti per l’insorgere dell’infermità” (T.A.R. Torino, (Piemonte), sez. I, 06/03/2015, n. 429).

Ai sensi dell’art. 6 del DPR 243/2006, sovrapponibile a quella di cui all’art. 7 del DPR 461/2001, per la causa di servizio si ha la rilevanza di qualsiasi causa che abbia anche solo contribuito ad anticipare l’insorgenza, ovvero aggravare le infermità, ovvero anticipare la data della morte, come causa efficiente e determinante anche a titolo concausale, ex art. 64, 1° e 2° co., del DPR 1092/1973, rispetto alle regole della responsabilità civile, che non trovano applicazione nell’ambito dell’accertamento della causa di servizio in particolari condizioni ambientali ed operative eccedenti l’ordinarietà, ai sensi dell’art. 1, co. 564, L. 266/2005, e art. 1 del d.p.r. 243/2006.

Missioni in Afghanistan: status di vittime del dovere

L’art. 1, co. 564, L. 266/2005, e art. 1 del d.p.r. 243/2006 recita: «Laddove, invece, l’istanza tenda alla percezione della speciale elargizione, si verte in un ben diverso ambito indennitarioI presupposti del risarcimento del danno e della speciale elargizione sono del tutto diversi: nel primo caso l’integrazione di tutti gli elementi propri di un’ipotesi di responsabilità civile, tra cui pure la prova del nesso eziologico e dell’elemento soggettivo in capo al danneggiante.

Nel secondo caso la mera dimostrazione di aver affrontato – senza che ciò integri “colpa” dell’Amministrazione – “particolari condizioni ambientali od operative”, connotate da un carattere “straordinario” rispetto alle forme di ordinaria prestazione del servizio, che siano la verosimile causa di un’infermità. Inoltre, il risarcimento del danno compete a chiunque e dipende nel quantum dall’effettivo danno riportato, mentre la speciale elargizione spetta solo ai soggetti individuati dalla legge ed è quantificata a monte in misura predeterminata» (Consiglio di Stato, II sezione, n. 5816/2021).

Vediamo di seguito perché per i militari in missione che hanno riportato una malattia correlata all’esposizione all’uranio impoverito e a nano particelle di metalli pesanti deve vigere la totale equiparazione a vittime del dovere. Ovvero la conferma del nesso causale e/o della causa di servizio in particolari condizioni ambientali ed operative eccedenti l’ordinarietà, ai sensi dell’art. 1, co. 564, L. 266/2005, e art. 1 del d.p.r. 243/2006.

Missione Afghanistan in particolari condizioni ambientali

L’art. 1 del d.P.R. 7 luglio 2006, n. 243 definisce le missioni come attività di qualunque natura, anche ordinarie funzioni e mansioni, “quali che ne siano gli scopi, autorizzate dall’Autorità gerarchicamente o funzionalmente sopraordinata al dipendente”.

La stessa sentenza già citata afferma che: “per particolari condizioni ambientali od operative“, si intendono “le condizioni comunque implicanti l’esistenza o anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi e fatiche in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti d’istituto”.

Sulla base di SS.UU. 15055/2017, le “particolari condizioni ambientali e operative” sono legate anche a “grave errore organizzativo“, che è individuabile nella “imprudente organizzazione del servizio da parte dell’organizzazione“, che ha aggravato il rischio (così Tribunale di Palermo, sezione lavoro, sentenza n. 2420/2020, pubblicata il 03.09.2020, a definizione del proc. n. 7696/2015 RG). Quindi per missione in condizione di rischio si intendono tutte le attività che hanno comportato una violazione di regole cautelari.

Carattere “straordinario” della prestazione del servizio

I militari che hanno contratto infermità a causa dell’esposizione operaono senza dispositivi personali di protezione in locali, e svolsero le loro mansioni in aree, luoghi, situazioni sprovvisti/e di appropriati specifici e dedicati “sistemi di sicurezza”.

Inoltre è richiesto un quid pluris di disagio sofferto nel corso dell’espletamento del servizio: tale disagio consegue al carattere “straordinario” della prestazione del servizio, da cui sia conseguita la sottoposizione dell’istante “a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”. Va sottolineato che l’appartenenza alle Forze Armate, oltre a comportare di per sé condizioni di vita strutturalmente più gravose rispetto all’impiego civile (a mero titolo di esempio, sottoposizione a rigido vincolo gerarchico, continuo addestramento fisico, pronta reperibilità, frequenti trasferimenti, et similia), impone al militare di esporsi al pericolo: dunque la “straordinarietà” richiesta dall’art. 1079 D.P.R. n. 90 del 2010.

Accertamento e presunzione a carico dell’Amministrazione

Il complesso normativo di riferimento è quello di cui all’art. 1078 del DPR 90/2010, in combinato disposto con l’art. 603 del D.L.vo 66/2010, e con l’ambito di applicazione quello di cui all’art. 1079 dello stesso DPR 90/2010.

Il Piombo, il Cromo, il Mercurio, il Rame e lo Zinco sono tra i metalli pesanti individuati ex art. 1078 (Capo II – Soggetti che hanno contratto infermità o patologie tumorali per particolari condizioni ambientali ed operative) del D.P.R. 15 marzo 2010 n.90 quali responsabili, se introdotti nell’organismo umano in dimensioni nanometriche, dell’insorgenza di patologie tumorali; al pari delle radiazioni ionizzanti e non ionizzanti.

Il DPR 90/2010 all’art. 1078  definisce il trattamento previdenziale e per le invalidità di servizio ai soggetti esposti a particolari fattori di rischio, che hanno contratto infermità o patologie tumorali per particolari condizioni ambientali od operative, per cui rilevano le missioni e allo stesso tempo il teatro operativo all’estero, e le particolari condizioni, già di per sé e per effetto di tale impiego.

Il diritto delle vittime alla pensione privilegiata

Il successivo art. 1079 prevede che ai soggetti siano corrisposte le elargizioni previste per le vittime del dovere.

In ambito previdenziale e più specificamente nella pensionistica privilegiata, vige il concetto della interdipendenza. Per consolidata dottrina medico-legale e giurisprudenziale, l’espressione interdipendenza delinea un rapporto di causalità, giuridicamente rilevante, che consente di correlare un’invalidità, già indennizzata, ad ogni altra menomazione dell’integrità anatomo-funzionale, diffusione o complicazione, nosograficamente nuova e diversa, interessante lo stesso organo o apparati o organi ed apparati cofunzionali, tanto che il danno anatomo-funzionale deve essere valutato nel suo complesso, per cui similare ragionamento in termini di rapporto causale e di interdipendenza deve applicarsi nella ricostruzione dell’evento.

Per cui «Il fatto che, allo stato delle conoscenze scientifiche, non sia acclarata l’effettiva valenza patogenetica dell’esposizione all’uranio impoverito non osta, dunque, al diritto alla percezione dell’indennità, che comunque spetta allorché l’istante abbia contratto un’infermità verosimilmente a causa di “particolari condizioni ambientali ed operative”, di cui “l’esposizione e l’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e la dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico” costituiscono solo un possibile aspetto» (Consiglio di Stato, II sezione, n. 5816/2021).

Nesso causale e inversione dell’onere della prova

Per quanto riguarda lo status di vittima del dovere vale il principio dell’inversione dell’onere della prova in relazione all’esposizione ad uranio impoverito, oltre che all’amianto. In questo caso sono rilevanti tutte le esposizioni, anche quelle indirette e per contaminazione del lungo servizio, in patria e nelle missioni all’estero. Infatti i benefici per le vittime del dovere non si basano sul profilo dell’esposizione all’uranio impoverito o nano particelle, ma sulla sottoposizione a “gravose condizioni ambientali e operative” e della conseguente contrazione di infermità in una platea di soggetti definiti dalla legge a:

  • personale militare e civile italiano impiegato in “missioni di qualunque natura”, sia in patria sia all’estero;
  • personale militare e civile italiano impiegato presso “i poligoni di tiro ed i siti in cui vengono stoccati munizionamenti”;
  • al personale militare e civile italiano impiegato “nei teatri operativi all’estero” (evidentemente anche al di fuori di una specifica “missione” condotta dalla Forza Armata o dall’Amministrazione di appartenenza) ed al personale militare e civile italiano impiegato nelle aree specificate;
  • “cittadini italiani” “operanti nei settori della cooperazione ovvero impiegati da organizzazioni non governative nell’ambito di programmi aventi luogo nei teatri operativi all’estero”;
  • “cittadini italiani residenti” “nelle zone adiacenti alle basi militari sul territorio nazionale presso le quali è conservato munizionamento pesante o esplosivo e alle aree specificate”.

In caso di decesso dell’interessato, del beneficio fruiscono “il coniuge, il convivente e i figli superstiti dei soggetti, i genitori ovvero i fratelli conviventi e a carico qualora siano gli unici superstiti”.

La prova del nesso causale: come funziona?

Molto spesso, in particolare con riferimento alle patologie più gravi, esitate nel decesso del militare che ne era affetto, il C.V.C.S. si è espresso in termini negativi per l’asserita mancanza di certezza assoluta, sul piano scientifico, in ordine al nesso di causalità, senza alcuna valutazione del criterio probabilistico-statistico che, per costante insegnamento dei giudici di legittimità, deve essere applicato in questi casi, anche con riguardo alla causa di servizio (Cassazione civile, sez. un., 17/06/2004, n. 11353, e, da ultimo, Cassazione civile, sez. lav., 02/01/2018, n. 12).

Ma il T.A.R. Genova, (Liguria), sez. I, 29/09/2016, n. 956 afferma che in tema di accertamenti in ordine alla dipendenza da causa di servizio, l’impossibilità di stabilire, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, un nesso diretto di causa-effetto tra l’impiego nei contesti fortemente inquinati dei teatri operativi (nella specie il ricorrente era stato impiegato nel 2002 nel Kosovo in zone interessate dall’utilizzo di ordigni all’uranio impoverito) e la patologia neoplastica comporta che non debba essere richiesta la dimostrazione dell’esistenza del nesso causale con un grado di certezza assoluta, essendo invece sufficiente la dimostrazione in termini probabilistico-statistici, come indicato nella relazione della Commissione parlamentare di inchiesta nominata in materia.

Guerra in Afghanistan e il criterio di probabilità

In tale ottica, il verificarsi dell’evento costituisce ex se un dato sufficiente, secondo il cosiddetto “criterio di probabilità“, a far sì che le vittime delle patologie abbiano diritto ai benefici previsti dalla legislazione vigente ogni qual volta, accertata l’esposizione del militare all’inquinante in parola, l’amministrazione non riesca a dimostrare che essa non abbia determinato l’insorgenza della patologia e che questa dipenda, invece, da fattori esogeni dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica.

“In concordanza con il «criterio di probabilità» proposto e fatto proprio dalla Commissione Parlamentare d’Inchiesta istituita con Delibera del Senato dell’11 ottobre 2006, le malattie emolinfopoietiche appaiono essere compatibili con l’esposizione del personale militare inviato nei Balcani agli inquinanti chimici e radiologici presenti nell’ambiente, già teatro di guerra; inquinanti che avrebbero agevolmente generato, attraverso radiazioni assorbite con contaminazione interna, la comparsa di tali morbilità. Il mancato utilizzo di nessuna protezione e nessuna particolare precauzione va a confermare tale ipotesi, tanto più che si usufruiva e veniva comunemente utilizzata l’acqua del posto per la pulizia della persona e del vestiario, delle cose, delle infrastrutture ed immobili, e per la preparazione del cibo” (coerente con Consiglio di Stato, sentenza n. 5816/2021), ribadito dalla relazione finale della Commissione Parlamentare d’Inchiesta della Camera dei Deputati del 07.02.2018, da cui non si può prescindere.

L’ONA e la tutela legale dei militari esposti

L’Osservatorio Nazionale Amianto, di cui l’Avvocato Ezio Bonnani è presidente, ha istituito il Dipartimento Vittime del Dovere e il Dipartimento di tutela delle vittime dell’uranio impoverito e dei vaccini contaminati. Il coordinatore di questo nuovo dipartimento dell’ONA è Lorenzo Motta.

L’Avv. Ezio Bonanni, durante l’audizione del 06.12.2017, come già detto, è stato ascoltato dalla Commissione Parlamentare d’Inchiesta. Le risultanze della relazione sono decisive per la tutela dei diritti dei militari.

L’ONA continua il suo sforzo perché non esistano più vittime del dovere e offre assistenza legale a tutti i militari che abbiano contratto un’infermità temporanea o permanente nell’esercizio della loro professione, comprese le esercitazioni. Il risarcimento danni e i benefici maturati in vita dalla vittima spettano ai familiari in caso di decesso. La Cass. Sez. Lav. 19623/2022 ha affermato la risarcibilità del danno morale anche in caso di insussistenza di malattia. Si tratta infatti di un danno morale che riguarda anche i familiari di coloro che sono stati esposti.

Per chiedere una consulenza gratuita e ottenere informazioni per la tutela dei propri diritti chiamando il numero verde 800.034.294 o compilando il form.

Abilita JavaScript nel browser per completare questo modulo.
Nome