In questa guida parliamo di danno parentale: come si calcola, come interviene la giurisprudenza e tutti gli aspetti specifici legati a morte e lesioni gravi.

Il danno parentale è una forma di tutela per la dignità del dolore. Serve a riconoscere che l’affetto familiare ha un valore giuridico, e che la sua perdita merita un ristoro anche in termini economici. Capire come funziona il risarcimento, sapere a quali tabelle fare riferimento, come impostare una richiesta, quali prove portare, significa difendere i propri diritti con consapevolezza e rispetto.

Cos’è il danno parentale: una definizione

Il danno parentale è una particolare forma di danno non patrimoniale che consiste nella sofferenza subita da un familiare in conseguenza della morte o di una grave lesione di un proprio congiunto. Non riguarda quindi il soggetto direttamente danneggiato, ma i suoi parenti stretti, che si trovano a vivere un trauma profondo per la perdita o la menomazione irreversibile del rapporto affettivo.

Si tratta di un danno riconosciuto sia dalla giurisprudenza civile sia dalla giurisprudenza costituzionale come lesione della sfera esistenziale e relazionale della persona.

Non ha bisogno di prova documentale della spesa sostenuta: è un danno morale ed esistenziale che viene presunto, ma che deve comunque essere motivato e quantificato con criteri oggettivi.

Quando sorge il danno parentale: morte o lesione grave

Il danno parentale nasce in due situazioni tipiche. La prima e più frequente è la morte di un familiare a causa di un evento illecito: un incidente stradale, un errore medico, un infortunio sul lavoro. La seconda situazione, oggi sempre più discussa in giurisprudenza, è quella delle lesioni gravi o gravissime, che modificano per sempre la vita della vittima e dei suoi familiari.

Nel primo caso il congiunto perde una persona cara. Nel secondo, la persona sopravvive, ma in condizioni tali da non poter più svolgere una vita relazionale normale. Anche in questo caso si riconosce ai familiari un danno, perché subiscono una perdita affettiva sostanziale, anche se non giuridicamente una perdita della persona.

Chi può chiedere il risarcimento del danno parentale?

Hanno diritto al risarcimento del danno parentale i congiunti stretti della vittima. In primo luogo, coniuge, figli e genitori. Ma anche fratelli, conviventi more uxorio, nipoti e nonni possono avanzare la richiesta, se dimostrano un legame affettivo significativo e stabile.

La giurisprudenza più recente ha superato l’idea rigida della “parentela legale”. Conta la relazione concreta, non solo il vincolo formale. Per questo è possibile ottenere il risarcimento anche per rapporti di fatto, come coppie conviventi, fratelli non conviventi o familiari separati, purché si dimostri la rilevanza affettiva del legame.

Come si calcola il danno parentale?

Il calcolo del danno parentale non è lasciato all’arbitrio dei giudici, ma si basa su criteri oggettivi e tabelle di riferimento. Le due principali linee guida sono:

  • le Tabelle del Tribunale di Milano, considerate il principale standard nazionale;
  • le Tabelle del Tribunale di Roma, usate principalmente nel Centro-Sud.

Il risarcimento si esprime in valore monetario, sulla base di una forbice che tiene conto di diversi parametri:

  • grado di parentela;
  • età del familiare superstite;
  • età della vittima;
  • convivenza o meno;
  • intensità e stabilità del rapporto affettivo;
  • numero dei familiari danneggiati;
  • presenza di figli minori o disabili.

Nel caso di morte, si possono raggiungere risarcimenti anche superiori a 300.000 euro per singolo familiare (es. per la perdita di un figlio minorenne convivente). Nel caso di lesioni gravi, il danno parentale si calcola con riferimento alla gravità della menomazione riportata dalla vittima (di solito oltre il 50% di invalidità permanente).

Le Tabelle di Milano: lo strumento più usato in Italia

Le Tabelle elaborate dal Tribunale di Milano rappresentano lo standard nazionale più autorevole per la liquidazione del danno parentale. Vengono aggiornate ogni anno dalla Sezione “Osservatorio sulla giustizia civile” e tengono conto dell’evoluzione giurisprudenziale.

Le tabelle prevedono fasce monetarie per ciascun grado di parentela. Ad esempio:

  • per la perdita di un figlio: da 170.000 a 360.000 euro;
  • per la perdita di un genitore: da 150.000 a 300.000 euro;
  • per la perdita di un coniuge o partner convivente: da 160.000 a 320.000 euro;
  • per fratelli o nonni: da 23.000 a 145.000 euro, a seconda del legame.

Il giudice valuta il caso concreto e personalizza l’importo in base alla prova dell’intensità del vincolo. Il calcolo può avvenire anche con strumenti online, come il sito studioandreani.it, che propone un simulatore per il calcolo del danno parentale con Tabelle Milano aggiornate.

Il calcolo secondo le Tabelle di Roma

Anche il Tribunale di Roma adotta un proprio sistema tabellare. Le Tabelle romane non indicano una forbice, ma valori monetari medi, da modulare in base a correttivi. Sono meno dettagliate di quelle milanesi, ma molto usate nel Lazio, in Abruzzo, in Molise e in altre regioni centrali.

Ad esempio, la perdita di un figlio può essere liquidata a circa 300.000 euro, con aumenti possibili se il figlio era unico, minore o convivente. Per il coniuge, l’importo si aggira sui 250.000 euro. Le Tabelle di Roma prevedono anche una forma di “danno dinamico-relazionale” che può sommarsi a quello morale.

Risarcimento agli eredi e danno da morte

Nel caso in cui la persona danneggiata muoia dopo aver subito una lesione, gli eredi possono chiedere il risarcimento del danno da morte iure hereditatis. Si tratta del danno biologico e morale che la vittima ha subito tra il momento dell’evento e quello della morte.

Questo danno va distinto da quello parentale: il primo spetta agli eredi in quanto successori; il secondo spetta ai congiunti in quanto soggetti danneggiati autonomi. Possono coesistere. Se, ad esempio, una persona resta in coma per dieci giorni e poi muore, gli eredi possono ottenere sia il danno biologico terminale, sia il danno parentale per la perdita.

Il danno parentale per lesioni gravi

Il danno parentale non presuppone necessariamente la morte. Sempre più spesso viene riconosciuto anche in caso di lesioni gravissime, quando la vittima resta in stato vegetativo, perde le proprie capacità cognitive, o subisce un’invalidità totale che compromette ogni possibilità di relazione affettiva.

In questi casi, i familiari possono chiedere un risarcimento anche se la persona è ancora in vita. Naturalmente, l’importo sarà proporzionato alla gravità della menomazione. La giurisprudenza ritiene che oltre il 70% di invalidità permanente sia il limite oltre il quale il danno parentale può essere riconosciuto anche senza decesso.

La giurisprudenza: orientamenti consolidati e nuove aperture

La Corte di Cassazione ha ormai da tempo riconosciuto il danno parentale come una categoria autonoma di danno non patrimoniale. Non è più necessario dimostrare la sofferenza nel dettaglio: il giudice può presumere l’esistenza del danno, anche se resta obbligo motivare l’ammontare del risarcimento.

Le sentenze più recenti ammettono forme di personalizzazione del danno, anche in presenza di tabelle. Conta la storia familiare, la convivenza, la qualità del rapporto. I giudici sono sempre più aperti a considerare anche le situazioni affettive non tradizionali: un partner non sposato, un figlio adottivo non ancora formalizzato, un parente non convivente ma affettivamente molto vicino.